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Bolzaneto, ci furono torture nel lager del G8
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 12 marzo 2008
12 marzo 2008

Degradanti e inumani i trattamenti per gli ospiti di Bolzaneto nei giorni del G8 del 2001. Si sbattevano teste contro i muri, si spezzavano dita, s'infilava la testa di detenuti nel buco del water, si manganellavano persone inermi, si minacciavano le ragazze di stupro. Nella caserma della Celere di Genova, tramutata in carcere provvisorio per le retate di no global con un decreto del Guardasigilli Castelli, furono adoperati almeno quattro, i pubblici ministeri ne sono certi, dei cinque trattamenti considerati inumani e degradanti, ossia tortura, dalla Corte europea di giustizia che s'è occupata della repressione britannica nell'Ulster. «Dall'84 al 2001 i governi italiani non hanno trovato nè il tempo nè la volontà per recepire nella legislazione quanto previsto dalla Convenzione Onu contro la tortura», dice Vittorio Agnoletto, eurodeputato Prc all'epoca portavoce del Gsf. E, grazie alla Lega e all'indifferenza dell'esercito garantista bipartisan, al di qua delle Alpi quel reato non esiste. Così, Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, due pm genovesi, hanno potuto contestare solo l'abuso d'ufficio, che comunque sarà prescritto nel 2009, a 44 dei 45 imputati sotto processo per la mole di violenze commesse nel comitato di accoglienza messo su da agenti, carabinieri e secondini coadiuvati da "volontari" infermieri e medici penitenziari all'arrivo degli arrestati delle giornate del luglio.
Al termine di una requisitoria durata cinque udienze e dopo le testimonianze delle oltre 200 vittime, ieri mattina, sono state formulate le richieste di pena: oltre 76 anni complessivi ( a fronte di 224 anni comminati a 24 manifestanti per devastazione e saccheggio) per pene che vanno da un massimo di cinque anni e otto mesi a un minimo di sei mesi. Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, è l'imputato per il quale è stata richiesta la pena più alta, 5 anni e 8 mesi. Era il responsabile della sicurezza, ossia il capo delle guardie carcerarie, stesso mestiere che continua a svolgere a Taranto. E' accusato di abuso di ufficio e di autorità. Non avrebbe avuto nulla da ridire che i detenuti fossero costretti dai suoi uomini faccia al muro, in piedi: la cosiddetta posizione del cigno. Di suo si sarebbe pure levato lo sfizio di prendere a calci, pugni e manganellate alcuni degli arrestati nel corso dell'identificazione. Dopo di lui, 3 anni e mezzo di richiesta, viene Alessandro Perugini, all'epoca numero due della Digos sotto la Lanterna, più famoso per il cortometraggio di cui è protagonista assoluto: lui, in borghese, che prende un paio di volte la rincorsa per sfigurare meglio un minorenne di Ostia tenuto fermo da alcuni robocop travisati. Nel carcere provvisorio, Perugini, nel frattempo promosso vicequestore, era responsabile della polizia di Stato. Identica la richiesta e le motivazioni a carico di Anna Poggi, commissario capo di polizia, e per il generale della polizia penitenziaria Oronzo Doria, carriera nemmeno sfiorata da questi fatti e neppure da una storiaccia di pestaggi a S.Vittore da cui ne sarebbe uscito solo grazie a un'amnistia. Doria, a Bolzaneto, fu responsabile del coordinamento dell'organizzazione. Stessa richiesta per i due responsabili della custodia, i capitani delle guardie carcerarie, Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia, a capo del Nucleo traduzioni che si distinse nelle violenze surclassando il Gom, le teste di cuoio inventate dal ministro Diliberto alla vigilia dell'era Berlusconi. Per entrambi due gradi di avanzamento nel lasso di tempo che ci separa da Genova 2001.
Condanne richieste anche per i cinque medici in servizio nella caserma della Celere a nord di Genova. Per Giacomo Toccafondi, coordinatore, accusato di abuso di atti d'ufficio e di diversi episodi di percosse, ingiurie e violenza privata, i pm hanno chiesto la pena di 3 anni, 6 mesi e 25 giorni di reclusione; per Aldo Amenta 2 anni, 8 mesi e 15 giorni; per Adriana Mazzoleni, 2 anni, e 3 mesi; per Sonia Sciandra, 2 anni, 8 mesi e 25 giorni per Marilena Zaccardi, 2 anni, 3 mesi e 20 giorni. Toccafondi è senz'altro il più celebre dei non poliziotti imputati per le "torture" di Bolzaneto. Ora esercita nel carcere femminile di Pontedecimo dove potrebbe aver trasferito il ritratto in mimetica che campeggiava nel suo ufficio di Marassi.
Nei confronti di Massimo Pigozzi, il poliziotto dello strappo alla mano di Giuseppe Azzolina, poi suturata senza anestesia, i pm hanno chiesto 3 anni e 11 mesi. Le richieste di condanna sono contenute in 23 pagine e per leggerle il pm ha impiegato ieri circa un'ora. Nei prossimi giorni la pubblica accusa presenterà al tribunale anche una memoria di mille pagine. Unica assoluzione richiesta per Giuseppe Fornasiere, funzionario di polizia accusato, con gli agenti Amoroso, Sabia Colucci, Mulas, Nurchis e i due responsabili Baldassarre e Tolomeo, di falso ideologico compiuto nell'ufficio matricola. Avrebbero dichiarato che gli arrestati non volevano mettersi in contatto con i legali e con le ambasciate. Altri reati, contestati a vario titolo sono la violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'abuso di autorità nei confronti di persone arrestate o detenute, minacce, ingiurie, lesioni. Se fosse passato in Senato un disegno di legge varato a Montecitorio, per il reato di tortura e per il trattamento inumano e degradante sarebbe prevista l'imprescrittibilità e le pene varierebbero da 4 a 10 anni. Nel caso in esame, invece, i reati si prescriveranno quasi tutti nel 2009. A decidere sulle richieste di pena sarà il tribunale presieduto da Renato De Lucchi.
Prescrizione a parte, la gravità delle accuse dimostra la necessità di indagare più a fondo sulla gestione complessiva dell'ordine pubblico a Genova. L'avrebbe potuto fare la commissione d'inchiesta che Rifondazione ha chiesto per sette anni e invano. A ricordarlo, dopo l'udienza, la senatrice uscente Haidi Giuliani (la madre di Carlo ucciso da uno dei carabinieri che presero parte alla carica illeggittima contro un corteo pacifico e autorizzato), il suo capogruppo Giovanni Russo Spena, il sottosegretario verde Paolo Cento e il deputato Francesco Caruso. Imbarazzanti le reazioni di alcuni sindacati di polizia. C'è chi sembra reclamare (Sappe e Osapp) l'impunità degli esecutori di ordini, come nell'Argentina di Videla, chi (il Sap), di fronte alle «notizie di reato qualificate» se la prende coi bassi salari, «come quelli di un bidello», che attirerebbero in polizia personale poco qualificato. E poco raccomandabile a quanto pare.