Fu ordinato da Roma il sanguinoso blitz alla scuola Diaz. E, forse, serviva anche a far sparire prove scomode. Come quel filmato che svelava i rapporti strettissimi tra certi "black" bloc e gli schieramenti di polizia. Vittorio Agnoletto ha deposto per due ore e mezzo nell'aula di Palazzo di Giustiza di Genova. Teste e parte civile allo stesso tempo nel processo contro 27 dirigenti e funzionari di polizia imputati per le violenze e gli abusi nella scuola che fece da dormitorio per manifestanti anti G8. Testimone poiché fu tra i primi ad arrivare dopo l'allarme lanciato dalla Pascoli, la scuola di fronte al dormitorio, quartier generale del Genoa social forum e media center. E del Gsf, il medico della Lila, oggi eurodeputato della Sinistra europea, fu portavoce. Perciò, come parte civile, ha spiegato ai giurati e alla corte i danni inferti dalla repressione violentissima a un movimento che, da allora, ha impiegato tempo e risorse più per difendersi che per perseguire gli scopi sociali, la lotta contro la globalizzazione liberista. Il motivo che aveva portato a Genova 300mila manifestanti a contestare gli 8 grandi ma anche a partecipare ai public forum. Gli atti di quelle conferenze non sarebbero mai stati pubblicati perché i soldi del Gsf furono assorbiti, ad esempio, dal Libro bianco sulla repressione che uscì a un anno dalle vicende oggetto dei tre processi in corso a Genova.
All'indomani della requisitoria contro i 25 manifestanti, in cui il pm Canciani, agli occhi degli addetti ai lavori, è sembrato più il legale d'ufficio delle forze dell'ordine che il rappresentante della pubblica accusa, è dal processo Diaz che sembrano arrivare nuove evidenze. Dunque, un filmato immortala l'allora portavoce che arriva tra i primi alla Diaz in compagnia del deputato Prc Mantovani. Ma ai cancelli trovano l'energico vice di La Barbera, defunto capo dell'Ucigos, che li blocca. Mark Covell, il giornalista inglese brutalizzato alla Diaz era ancora a terra in attesa dell'ambulanza. Dopo aver spiegato la genesi del Gsf e il suo ruolo di portavoce, il racconto entra nel vivo di quel 21 luglio. Agnoletto, in particolare, ricorda di aver ricevuto una chiamata dal regista Davide Ferrario. Erano le 19, 19.30. Il regista ha la cassetta in cui alcuni figuri travisati entrano ed escono dalle fila delle forze dell'ordine con la placca di servizio bene in vista. Infiltrati. Gad Lerner manda in onda alcuni spezzoni piuttosto eloquenti. Poi Agnoletto lascia lo studio genovese di La7 per andare a Porta a Porta. Nelle registrazioni delle telefonate, sentite al processo nelle scorse settimane («Uno a zero per noi!», si sganasciava un poliziotta, ricordate?), si ascolta anche la conversazione tra un agente e il capo della mobile Dominici piuttosto preoccupati dalla trasmissione. In quel momento era l'unico documento video sulle stranezze delle polizie al G8. L'ipotesi dell'ex portavoce è che l'assalto alla Pascoli, finora spacciato come un errore, fosse stato effettuato per trafugare quel video di cui, ieri, il tribunale ha chiesto l'acquisizione.
Al suo arrivo alla Diaz, appena al corrente dell'irruzione, Agnoletto chiamò il vice capo della polizia, Andreassi - De Gennaro non parlava più col Gsf da cinque giorni, quando era stato tacciato di avere la lingua biforcuta dopo le promesse, non mantenute, di lasciare aperta la stazione di Brignole. «E' stata decisa, io non posso farci niente», disse, più o meno, il vicario di De Gennaro all'esterrefatto testimone che aveva chiesto di bloccare quella che un celerino, in questa stessa aula, chiamerà l'operazione di macelleria messicana e che le vittime insistono a definire "perquisizione all'italiana". Se sapeva Andreassi, non poteva non saperlo il suo capo. Se non poteva fermarla Andreassi, non poteva che essere stata che ordinata dall'alto quell'irruzione che fruttò 93 arresti illegittimi e 43 feriti gravi. E in cui, secondo l'accusa furono preparate prove false, portando due molotov direttamente dalla questura. E nemmeno ci sarebbe stata l'ombra dei balck bloc, come sostenuto dalle versioni ufficiali. Ancora il portavoce di allora ha ricordato le telefonate del venerdì, il giorno in cui fu ucciso da un carabiniere Carlo Giuliani. Dal media center chiamarono per dire che avevano dovuto sbarrare ai cancelli per non far entrare gruppi avversi al Gsf.
Questo è tutto per una giornata che registra le dimissioni polemiche di uno dei difensori della polizia. Si tratta di Mascia, lo stesso che aveva fatto l'esposto contro il pm Zucca su presunte spese processuali gonfiate. A molti è parsa un'interferenza nel processo per minarne la credibilità.