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L'eterno ritorno
Roberto Tumminelli
Fonte: Liberazione, 17 aprile 2008
17 aprile 2008

È il tramonto, il cielo é azzurro cupo, commovente, le ordinate colonne della corte già in ombra finiscono sullo sfondo dell'arena romana, incendiata dal sole agonizzante. Eravamo seduti sul muretto quando arrivava un trafelato Bubu per annunciare: «Hanno ammazzato un compagno di diciassette anni in piazza Cavour! Gli hanno sparato! Sono stati i fascisti!». Lo studente era Claudio Varalli e il fascista era un vero fascista che sparava sui "rossi". C'eravamo tutti quella mattina nel turbolento corteo. Dopo gli scontri in via Mancini eravamo sulla via del ritorno, la salvezza era dopo piazza Cinque Giornate. Cento metri. All'improvviso si materializzava un gruppo di camion che imboccavano la corsia centrale, quella degli autobus. L'ultimo camion della fila saliva sul marciapiede e tentava di investire il gruppone che se ne stava andando. L'autista, arrivato all'orologio, riportava il mostro sulla strada. Nessuno sembrava essere ferito. Tutti scappavano. Una donna gridava. «C'è un ferito!». Un corpo a terra, il volto al suolo. Accanto al marciapiede c'era il cervello del ragazzo. Proprio così. Il cervello completo. Integro, non so per quale caso, bianco e lucente, compatto. L'immagine era irreparabile, voleva solo dire, il ragazzo è morto, il ragazzo è morto... Una disperazione cieca e sorda mi faceva sussurrare rivolto a Elio: «Sai chi è?», «È Giannino!», urlava singhiozzando, «ecco chi è!». Riconoscevo, adesso, la giubba di panno, la camicia... Non avevo il coraggio di girarlo. Guardavo il povero corpo devastato e pensavo, e adesso? Tutto finito? Le ragazze, i sogni, il futuro, la vita. Tutto era perduto, La polizia si avvicinava lentamente, a plotoni affiancati, si avvicinavano con cautela, come se ci fosse un'atomica. Una volta arrivati dove ero io, a quel punto tutti mi sembravano scossi dalla scena che si presentava, nuda, vera, crudele. Un corpo privo di vita, più di duecento guerrieri armati, me compreso, intorno con gli sguardi fissi sul globo opalescente che dominava il palcoscenico, che sembrava levitare, incombere sulle nostre teste, diventare gigantesco. Mi rimbombava in mente la teoria dell'eterno ritorno, l'idea che ogni giorno ogni cosa si ripeterà come l'abbiamo già vissuta e la attraverseremo all'infinito. Il globo opalescente che fu il cervello di Giannino, l'immagine dell'orrore, brillerà per sempre. Senza rimedio, senza tempo, senza speranza.