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Due agosto, Bologna ricorda la strage 29 anni dopo. Fischiato Bondi
Gigi Marcucci
3 agosto 2009

«Oggi siamo qui ...». Fischi. «Un crimine orrendo...». Ancora fischi dalla piazza, e urla: «Vai via, vergogna». Dal palco invece invitano l'oratore, che ha appena preso la parola, a continuare, partono applausi di incoraggiamento. Le contestazioni erano previste e puntualmente si sono verificate quando Sandro Bondi, ministro giunto con un po' di ritardo a rappresentare il governo Berlusconi, ha impugnato il microfono nella piazza della strage. Alla stessa ora, 29 anni fa, l'emiciclo che introduce alla stazione ferroviaria di Bologna era un tappeto di macerie e corpi fatti a pezzi.

Una scena da tempi di guerra, con 85 morti e circa duecento feriti, ma non c'era nessun conflitto, solo gente che partiva per le vacanze. Piazza Medaglie d'oro, le strutture liberty della stazione, l'orologio ancora fermo sulle 10,25, l'ora dello scoppio, da allora sono diventati sono un vero monumento alla memoria, il luogo in cui ogni anno, dal 2 agosto 1980, si misura anche la sintonia tra la piazza che chiede giustizia e i rappresentanti del governo. I fischi li hanno condivisi, in tempi diversi, Giuliano Amato e Giulio Tremonti, Pietro Lunardi e Cesare Damiano.

Sandro Bondi non è un'eccezione e i primi ad arrabbiarsi coi contestatori sono i familiari delle vittime e i feriti. «Condanno i fischi, perché danno una via di fuga al governo, questa gazzarra crea solo un martire in più per l'esecutivo», è il commento di Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime. «Così domani si parlerà solo dei fischi e non delle mancate risposte», aggiunge, «questa non è una giornata per fischiare, bisogna ascoltare in silenzio quello che dice il governo. Per disapprovare, meglio aspettare che la persona abbia parlato e poi valutare».

Una folla chiede come ogni anno di conoscere di più e meglio. In piazza, alle 9, ci sono almeno cinquemila persone. Forse meno degli anni scorsi, visto il giorno festivo, ma tante se si considera l'esodo estivo. Tre neofascisti, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, sono stati condannati con sentenza definitiva per la strage. In carcere sono finiti anche gli uomini dei servizi segreti accusati di aver depistato le indagini per proteggerli. È stato condannato Licio Gelli, il capo della P2, la loggia segreta a cui erano affiliati, tra gli altri, i capi dell'intelligence e i loro uomini più fidati. È un quadro ampio ma ancora incompleto, per Paolo Bolognesi, continuamente rimesso in discussione da «piste alternative senza costrutto», alimentate anche dal presidente emerito Francesco Cossiga.

Nell'ottobre scorso, i magistrati hanno raccolto la testimonianza dell'ex Picconatore, che «ha subito abbandonato le sue certezze per derubricare il tutto a voci o a sentito dire». «È veramente singolare - conclude Bolognesi - che chi ha ricoperto cariche così importanti si abbassi a sostenere l'innocenza di criminali sulla base di dicerie di corridoio». Quella di Bolognesi è un oratoria secca, tagliente, quando ricorda che «nessuno di quelli coinvolti a vario titolo nella strage è attualmente in carcere». Nemmeno Luigi Ciavardini, condannato solo due anni fa. E punta il dito su un commercio inconfessabile: «Silenzio in cambio di libertà». Ricorda i nomi di magistrati come Emilio Alessandrini e Mario Amato, assassinati mentre stavano indagando su organizzazioni eversive e stragiste.

Passati 30 anni dall'evento-strage, scandisce il presidente, gli archivi devono aprirsi, «tutti i documenti in possesso di servizi segreti, della polizia e dei carabinieri» devono essere «catalogati e resi pubblici». Infine il tema della certezza della pena: sventolato «da molti politicanti», secondo Bolognesi, all'indomani di gravi fatti di cronaca, e immediatamete accantonato quando in Parlamento gli «stessi politicanti approvano leggi che tutelano i criminali».

Poi la parola passa a al sindaco Flavio Delbono, che parla di «strage fascista, cioè voluta e pensata per fini esclusivamente politici». E tocca a Bondi, che arriva circa un'ora dopo l'avvio ufficiale delle celebrazioni, accompagnato dal figlio. Nonostante i fischi, il ministro dei Beni culturali riesce ad accennare a una «guerra civile», poi replica ai contestatori: «Così facendo non onorate il significato di questa commemorazione». Puntuali arrivano le reazioni. Lorenzo Cesa (Udc) definisce i fischi una «gazzarra», il fascistissimo Francesco Storace e Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, definiscono le sentenze della magistratura bolognese «un dogma di Stato». Anche questo due agosto è passato.