Da ieri Sismi e Sisde, almeno sulla carta, non esistono più. Il Senato ha dato l'ultimo placet alla riforma dei servizi segreti e tra un paio di mesi vedranno la luce Dis, Aise e Aisi, sigle con cui dovremo familiarizzare presto e che nell'ordine significano: "Dipartimento delle informazioni per la sicurezza" (prende il posto del Cesis nel coordinamento tra servizi, detiene l'Ufficio per la segretezza con tanto d'archivio e formerà i nostri 007), "Agenzia informazioni e sicurezza esterna" (ex-Sismi) e "Agenzia informazioni e sicurezza interna" (ex-Sisde). La riforma è stata relativamente celere e unanime, con soddisfazione bi-partisan da Caprili (Prc e vicepresidente del Senato), che sottolinea i rinforzati poteri di controllo del Parlamento e la maggiore definizione della segretezza, a Scajola (Fi e presidente del Copaco) che vi aggiunge la valorizzazione del ruolo di coordinamento ed indirizzo del Presidente del Consiglio che di fatto starà al vertice della piramide, anche operativa, dell'intelligence. Una riforma necessaria, utile, la migliore possibile... rafforzata dal plauso del Presidente della Camera e di quello della Repubblica, sulla dovuta collaborazione tra maggioranza e opposizione in materia così delicata e di interesse generale.
Per un giudizio "tecnico" completo bisognerà aspettare i 12 regolamenti attuativi che tradurranno i principi della nuova legge in fatti. Rimane il dato politico. In uno dei campi in cui la nostra democrazia istituzionale era più arretrata si fanno passi avanti. Sia nel senso della "modernità", dove per esempio si consegna al Premier l'autorizzazione agli 007, di volta in volta e per compiti «indispensabili», a violare la legge oppure dove si riduce il tempo del segreto di Stato da un minimo di cinque a un massimo di 10 anni (ma ce ne vorranno 15 per l'accesso alle informazioni, che potrà sempre essere negato). Sia nel senso della "tradizione", con il mantenimento della separazione, tra servizi interni ed esteri, e chissà se con la consueta divisione di vertice tra armi e polizia. Insomma, svecchiamento e continuità. E infatti la riforma sembra piacere anche ai servizi tanto che il direttore del Sisde, Gabrielli, che a margine di nuovi allarmi sicurezza lanciati a piene mani - dalle Br, agli islamici, dagli stadi ai naziskin fino agli anticlericali, - la definisce «soddisfacente», vista soprattutto «la situazione nella quale versava il Sisde» (sigh!). Eppure...
Eppure non possiamo scordare che oggi è il 2 agosto e che sono passati 27 anni dalla strage alla stazione di Bologna (85 morti e oltre 200 feriti) e che per quella strage sono stati condannati degli esecutori e dei depistatori. E che questi ultimi fossero a libro paga dello Stato come agenti dei servizi. Vale per Bologna e per quasi tutte le altre stragi - o almeno ce n'è il ragionevole dubbio - dal 12 dicembre del 1969 (Piazza Fontana a Milano, 16 morti e 88 feriti, conclusa giudiziariamente nel 2005 con l'assoluzione degli imputati neofascisti e spioni e con la richiesta del pagamento delle spese processuali ai parenti delle vittime), al rapido 904, la "strage di Natale" del 1984 (San Benedetto Val di Sambro, 17 morti e 250 feriti, attribuita alla mafia). In mezzo c'è Gioia Tauro, Piazza della Loggia, Peteano, l'Italicus, Ustica.
Sono le stragi realizzate, perché poi ci sono quelle tentate, quelle sventate, quelle minacciate. In quasi tutti questi episodi, come mandanti, come esecutori, come depistatori o come informati dei fatti prima, durante e dopo, si può ragionevolmente dire che vi fossero uomini dei servizi italiani. Talmente tanti che il paese si è dovuto inventare la definizione "deviati" per dire che esistono due servizi, quello fedele allo Stato e quello fedele a chissà chi. Ma la verità non è così semplice.
Siamo l'unico paese d'Europa dove per quasi 40 anni la politica è stata largamente influenzata dalle stragi, dalla strategia della tensione, dalla lotta armata, dai terrorismi. E siamo l'unico paese dove questa condizione è in larga parte attribuibile alla volontà, alla complicità e all'uso a fini politici dei servizi, cioé dello Stato. Per ogni strage esistono almeno una decina di persone di Palazzo che sanno quel che c'è da sapere, soprattutto nelle file della vecchia Dc, ma non solo. E per questo i servizi e i loro uomini hanno accumulato un potere enorme sul Paese e sulla politica, perché sono i custodi dei segreti. L'ultimo ed emblematico caso è quello di Pollari che arriva alla sfrontatezza di dire ai giornali quello che tutti i suoi predecessori hanno detto in privato: "Guardate che se parliamo noi...". Noi vorremmo che finisse tutto questo. Vorremmo essere un paese pacificato col suo passato, più informato e più cosciente. Vorremmo che gli archivi vengano aperti, secondo una procedura automatica e definitiva (come in molti paesi anglosassoni) per la declassificazione dei segreti di Stato. E poi vorremmo che non fossero gli uomini dei servizi a decidere della politica, perché ieri erano le bombe e oggi sono i dossier, le intercettazioni, gli allarmi e l'agitarsi della sicurezza tutta. Non si può vivere in un paese ostaggio delle dietrologie, non si può vivere appesi ai segreti e ai depistaggi. Lo abbiamo fatto per questi decenni. Non lo vogliamo fare più.