Non considero una sentenza come verità assoluta, tanto meno quella sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Nemmeno ho mai creduto che l'esito di un processo non potesse essere criticato. Anzi, ho passato anni ad attaccare duramente l'operato della magistratura, recentemente le conclusioni della corte di Cassazione sulla strage di piazza Fontana. Ritengo, per altro, a mia volta, l'approdo giudiziario su Bologna insufficiente e insoddisfacente. Ma non infondato, questo il punto.
Sollevare dubbi è non solo lecito, ma utile e meritevole. Nel caso del libro di Andrea Colombo ("Storia nera. Bologna. La verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti", Cairoeditore, 17 euro), però, l'operazione è decisamente un'altra: si tenta di accreditare l'innocenza di Mambro, Fioravanti e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva per la strage, omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode.
Mi limito ad alcuni passaggi.
L'incontro con Massimo Sparti
Nel capitolo dedicato alla "demolizione" della credibilità di Massimo Sparti, colui che raccontò come due giorni dopo la strage Fioravanti e Mambro lo avessero messo al corrente delle loro responsabilità, richiedendogli urgentemente due documenti falsi, minacciando in caso contrario di far male al figlio, Andrea Colombo omette alcuni elementi fondamentali. Dopo aver irriso la testimonianza di Fausto De Vecchi, il mediatore tra Sparti e il falsario dei documenti, che comunque confermò, fatto processuale assolutamente rilevante ("Si presentò da me lo Sparti e mi disse che c'erano Giusva con la fidanzata che dovevano sparire e avevano bisogno di documenti di identità", udienza dell'8 gennaio 1990, dibattimento in Corte di assise d'appello), tralascia incredibilmente di ricordare che fu la stessa Mambro a sostenere che si rivolsero davvero in quei giorni allo Sparti, ma che i documenti richiesti dovevano però servire a Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi di Terza posizione ("Effettivamente vennero richiesti allo Sparti...dovevamo fare la rapina all'armeria di piazza Menenio Agrippa", che avvenne appunto il 5 agosto, dichiarazione resa da Francesca Mambro al giudice istruttore di Bologna il 25 agosto 1984). Sparti dunque non "favoleggia" di "incontri", come scritto da Andrea Colombo. Non solo, l'autore dimentica anche come questa versione sui motivi dell'incontro con Sparti sia poi risultata per nulla credibile: Fiore e Adinolfi non erano infatti latitanti e non avevano alcun bisogno di documenti, ma soprattutto i due erano ricercati proprio dagli stessi Mambro e Fioravanti che li volevano uccidere per "ripulire l'ambiente infestato da furbacchioni". Per altro, fu lo stesso Fiore a negare la circostanza di aver mai chiesto a Fioravanti e Mambro documenti falsi.
La telefonata e i documenti di Ciavardini
Riguardo al caso di Luigi Ciavardini, condannato per concorso nella strage di Bologna, Andrea Colombo cerca più volte (pagine 186 e 256) di mettere in discussione l'esistenza della famosa telefonata con la quale il terrorista avvisò la fidanzata Elena Venditti e una coppia di amici, che erano in procinto di raggiungerlo a Venezia, affinché non prendessero il treno che sarebbe passato dalla stazione di Bologna la mattina del 2 agosto. Anche qui, non solo questo fatto è sempre stato incontestabilmente confermato in sede giudiziaria da Cecilia Loreti, una delle destinatarie del messaggio ("Disse di non partire...in quanto vi erano dei grossi problemi", dichiarazioni rese al giudice istruttore di Roma il 23 dicembre 1980), ma fu lo stesso Ciavardini a ribadirlo ("Né la Venditti né la Loreti avevano la possibilità di rintracciarmi, di modo che ero io che dovevo, di volta in volta, farmi vivo. In quel periodo l'ho fatto diverse volte, telefonando all'una o all'altra ragazza, a caso loro a Roma", dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 5 giugno 1982. "Non escludo di aver telefonato a Roma per indurre i miei amici a spostare il viaggio", dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 24 ottobre 1984). Colombo sostiene che Ciavardini, ammesso che così fece, non agì in questo modo perchè a conoscenza dell'imminenza della strage, ma perché privo di documenti. Questi "i gravi problemi", essendo latitante, accennati nella telefonata. Niente di più falso.
Il 5 giugno 1982 lo stesso Ciavardini dichiarò al giudice istruttore di Bologna di escludere "nella maniera più assoluta che alla data del 2 agosto 1980" avesse "alcun problema di documenti". Tanto che in quel periodo si muoveva in tutta Italia. Solo molti anni dopo cambierà versione. Ma che Luigi Ciavardini all'epoca disponesse dei necessari documenti per viaggiare indisturbato è stato comunque ampiamente dimostrato. Al momento dell'arresto, nel settembre 1980, ne possedeva almeno uno, intestato a Marco Arena, lo stesso che, come disse la sua fidanzata Elena Venditti, utilizzava al tempo della strage (dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 24 settembre 1980).
Un alibi inconsistente
Anche l'alibi a cui Fioravanti e Mambro ad un certo punto decisero di aggrapparsi, per dimostrare la loro estraneità alla strage, si sbriciola facilmente, nonostante Andrea Colombo si sia sforzato di renderlo credibile.
I due sostennero di essersi trovati il 2 agosto a Treviso, ospiti di Gilberto Cavallini e della sua compagna Flavia Sbrojavacca. Mambro affermò di aver passato la giornata a Padova, Fioravanti a Treviso. Cambiarono versione solo nel 1984 raccontando di aver accompagnato Cavallini ad un appuntamento a Padova. "Con noi c'era Luigi Ciavardini" affermò la Mambro. Fioravanti inizialmente lo escluse. Ciavardini, a sua volta, solo nel 1984 si allineò, dopo aver sostenuto di essersi trovato ai primi di agosto a Palermo (!). Anche le vetture di questo viaggio da Treviso a Padova non combaciarono mai: una Bmw per Fioravanti, una Opel Rekord per la Mambro. La madre di Flavia Sbrojavacca, Maria Teresa Brunelli, testimoniò comunque che "dopo la nascita di mio nipote (10 luglio), escludo che la Mambro e Fioravanti abbiano dormito a casa della Flavia". Un alibi inconsistente, smontato ulteriormente da Gilberto Cavallini, che negò di aver mai avuto un appuntamento a Padova quel giorno. L'appuntamento doveva avvenire con Carlo Digilio, un tempo al vertice della struttura clandestina di Ordine nuovo.
Carlo Digilio, prima di morire, ha, dal canto suo, sempre sostenuto di non aver mai conosciuto Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, né di essere mai stato a conoscenza della loro eventuale presenza a Padova quel giorno. Non si capisce a questo punto la ragione per la quale Carlo Digilio, per Andrea Colombo, si possa improvvisamente trasformare in "un testimone scomodo per tutti". Questo sì che è un mistero!
La pista palestinese
Colpisce, infine, l'ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash.
È più che noto, infatti, che già all'epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l'1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell'albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell'occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all'Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell'organizzazione di Carlos.
Riguardo poi l'esistenza di presunti documenti, provenienti dagli archivi dell'ex Patto di Varsavia, attestanti la presenza a Bologna di alcuni uomini di "Separat", l'organizzazione di Carlos, basterebbe citare la relazione conclusiva delle stesse autorità di Polizia francesi, acquisita tramite rogatoria, che ha affermato, sulla base dei documenti recuperati dall'ex Mfs (il controspionaggio della Repubblica democratica tedesca), che non è mai stato raccolto "alcun elemento obiettivo in ordine alla presenza in Italia di Ilich Ramirez Sanchez alla vigilia dell'attentato alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Lo studio dettagliato dei documenti in nostro possesso non consente di imputare a Ilich Ramirez Carlos o a membri del suo gruppo la responsabilità dell'attentato commesso il 2 agosto 1980 contro la stazione di Bologna. Lo stesso dicasi per la loro partecipazione ad operazioni di carattere terroristico perpetrate in Italia".
Ma c'è di più. Alfredo Mantovano, a sua volta tra i massimi dirigenti di Alleanza nazionale, il 16 ottobre del 2003, rispondendo ad un'interrogazione, in qualità di sottosegretario al Ministero degli interni, ufficialmente concludeva che: "l'ipotetica presenza negli anni Settanta e Ottanta a Bologna o in Italia del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, attualmente detenuto in Francia, non ha trovato alcun riscontro".
Dar credito a un polverone sollevato, per altro, da un ex appartenente a Ordine nuovo, Marco Affatigato, per sua stessa ammissione fonte informativa della Cia, ma soprattutto già coinvolto in un tentativo di depistaggio sulla strage di Bologna, che in un'intervista a un giornale di Alleanza nazionale ha fatto riferimento a documenti della Stasi mai rintracciati, o peggio, contenenti il contrario, è davvero fuorviante.
Senza precedenti?
Si potrebbe continuare con la storia dei Nar, definiti a pagina 10, senza "precedenti bombaroli" o stragisti, quando in proposito basterebbe ricordare: l'assalto a Roma a Radio città futura, il 9 gennaio 1979, con il ferimento di cinque donne falciate alle gambe a colpi di mitra; l'attentato alla sezione Esquilino del Pci, sempre a Roma, il 16 giugno 1979, con il lancio di bombe a mano nel corso di due affollate riunioni, una di quartiere, l'altra di ferrovieri, o ancora l'attentato, fatto risalire dalla magistratura ai Nar, mediante un'autobomba caricata di quattordici chilogrammi di esplosivo, posta all'uscita della seduta del Consiglio comunale a Milano, poco più di 48 ore prima della strage di Bologna.
Per i primi due crimini è stata riconosciuta la responsabilità di Valerio Fioravanti con la sentenza del 2 maggio 1985 della Corte di assise di Roma, divenuta definitiva. Colombo, contro ogni evidenza, riporta invece che per il secondo episodio è "stata dimostrata" la sua "non partecipazione". Da chi?
Mi fermo qui anche se su molti altri punti andrebbero svolte doverose precisazioni e contestazioni, anche rilevanti, come sul movente della strage, tutt'altro che oscuro, i numerosi depistaggi, che cercarono in ogni modo di avvalorare ipotesi internazionali per sviare e far perdere tempo agli inquirenti, e non certo a "incastrare" l'estrema destra, la natura chimica dell'innesco dell'ordigno, come stabilito dalle perizie, che per questa e non altre misteriose ragioni, come supposto nel libro, non ha consentito di rintracciare sul posto filamenti o batterie elettriche.
Spiace dire, in conclusione, che questo libro non svolge affatto alcun servizio garantista, ma si presta solo a disinformare e ad essere utilizzato a questo fine. Le stesse conclusioni del presidente dell'associazione dei familiari delle vittime Paolo Bolognesi.