La storia della strage di Bologna, dal punto di vista processuale, può dirsi ormai finita dopo 27 anni. La Corte di Cassazione ha condannato al massimo della pena, trent'anni di carcere, l'ex Nar Luigi Ciavardini come esecutore materiale - insieme a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro già condannati all'ergastolo - della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. La strage più sanguinosa della storia italiana, 85 morti e oltre 200 feriti, ha così tre colpevoli tutti con sentenza definitiva. Ciavardini è già stato condannato per l'omicidio del giudice Mario Amato e del poliziotto Franco Evangelisti («Serpico») davanti al liceo romano Giulio Cesare nel 1980. E' attualmente in carcere per una rapina in banca del 2005.
Per la magistratura quella di Bologna fu dunque una «strage fascista», come è scritto sulla lapide che ricorda le vittime. Questo giornale, a partire da Rossana Rossanda, ha sempre sottolineato le incongruenze di quel processo e quindi contestato l'addebito di quella strage a Mambro e Fioravanti. Una strage che si inserisce nelle tante trame «nere» che hanno insanguinato il nostro paese.
In un processo però si stabiliscono le responsabilità personali. E soprattutto nel caso di Ciavardini le carte traballano non poco. L'ex Nar entra nell'inchiesta di Bologna perché nel 1986 Raffella Furiozzi, 19enne torinese detenuta a Paliano, racconta ai magistrati che il suo compagno Diego Nacciò (ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia) aveva saputo da una terza persona (Gilberto Cavallini), che a mettere la bomba a Bologna erano stati i Nar, e in particolare Nanni De Angelis (poi morto suicida) e Massimiliano Taddeini. A rafforzare le indagini sull'estrema destra romana le dichiarazioni di Angelo Izzo (il «mostro del Circeo» poi diventato mallevadore di pentiti in carcere) che ha suggerito ai magistrati bolognesi che siccome c'erano «i ragazzini» De Angelis e Taddeini allora non poteva non esserci anche il loro sodale Luigi Ciavardini. Peccato che un video scagioni i primi due, impegnati il 2 agosto in una partita del campionato di football americano.
Ciavardini, invece, resta nell'inchiesta. A inchiodarlo per i magistrati c'è soprattutto una misteriosa telefonata con cui avrebbe detto alla fidanzata e a due amici di non raggiungerlo in Veneto con il treno che partiva all'alba da Roma passando per Bologna. In cinque processi non è mai stato provato se questa telefonata sia veramente avvenuta. Il 2 agosto, a quanto afferma lui stesso nell'83 (cioè 3 anni prima di finire nell'inchiesta), era nascosto a Padova insieme a Mambro e Fioravanti. Un «alibi» a favore della Mambro che lo ha legato per sempre alla strage. «Il cerchio si è chiuso - commenta l'associazione dei familiari delle vittime - ora chiediamo la verità anche sui mandanti della strage».