Roberto Scialabba. Lotta continua, Autonomia operaia, l'occupazione di un palazzo di via Calpurnio Fiamma. Un militante politico. Ma la sera del 28 febbraio 1978 è solo un ragazzo di ventiquattro anni. Nel posto sbagliato al momento sbagliato.
I fascisti scalpitano. È il terzo anniversario della morte di Mikis Mantakas, militante del Fuan. meno di due mesi prima ci sono stati i fatti di Acca Larentia. Tre giovani di destra uccisi davanti alla sezione del Msi. Due da oppositori politici, uno dalla polizia. I Nar cercano sangue per il loro battesimo. L'obiettivo è un rosso, un comunista. Uno qualsiasi. Così il destino trasforma la grande piazza in un vicolo cieco. E Roberto in un bersaglio. Nello stesso momento lì. Lui, loro. Un caso. Un maledetto caso. Loro sono i soliti. I fratelli Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi, pochi altri. Protetti, impuniti. Lo dirà qualche anno dopo Cristiano Fioravanti. Sapevano che nella peggiore delle ipotesi «i processi erano sempre assegnati a magistrati ben conosciuti dal padre» di Alessandro Alibrandi, e «sarebbero andati bene».
Si dirigono verso il palazzo occupato di Cinecittà. Lo trovano chiuso. Sgombrato dalla polizia il giorno prima. Non si danno per vinti. Dirottano verso una piazza lì vicino. Su una panchina, nei giardinetti, c'è anche Roberto. Con il fratello e un amico. In un luogo di rossi. Con il look del rosso. Sparano i Fioravanti, spara Anselmi. Roberto cade a terra, ferito al torace. Giusva si mette a cavalcioni su di lui. Due colpi a bruciapelo alla nuca. Nella piazza c'è anche spaccio di eroina. Roberto lo combatte, ma uno spinello è tutt'altra cosa. In tasca ha un po' di hashish. La polizia prende la palla al balzo. I fascisti telefonano e ritelefonano ai quotidiani, vogliono rivendicare l'uccisione. Niente. I giornali ignorano. Articoli fotocopia. Regolamento di conti fra spacciatori. Nel marzo 1982 Cristiano Fioravanti racconta. Fuori tempo massimo. La velina della questura è stampata nella memoria dei più.
MA GLI ANTIFASCISTI NON DIMENTICANO!
Né oblio, né perdono!