Caro Maurizio,
ieri sera ero a Vag per la prima delle due giornate sul G8 di Genova, nel quinto anniversario da quel G8, e mi è tornata in mente una lettera aperta che scrivesti allora quando eri presidente del Consiglio Comunale di Bologna.
I fatti che citavi sono diventati memoria condivisa per molta gente, ma anche ricordi personali. Io ero lì per una delle mie prime corrispondenze seguendo il direttore di Carta, Gigi Sullo, nel corteo dei disobbedienti partito dal Carlini. Una varco tra gli scudi alla prima carica in Via Tolemaide mi ha permesso di scappare e di riuscire a seguire gli scontri seguenti lungo il viale. Per questo ho potuto vedere Federico spintonato da dieci poliziotti, loro armati da guerriglia urbani, lui di bottiglie di plastica attaccate con il nastro adesivo, mentre veniva portato via con le mani sulla faccia. Come mi sentivo? Frustrato. Impotente. Un sentimento che in questi cinque anni pur attraversando la vita di molte persone che c'erano, non è prevalso ma ha dato nuovi stimoli per impegnarsi. Ne ho incontrati tante, presentando video o libri quando ho deciso di fare l'unica cosa che mi veniva bene: raccontare. Ed ogni volta mi sono meravigliato di quanta energia e generosità fosse nata da un trauma che rimane una delle pagine più nere della storia di questa Repubblica.
Per questo mi è tornata in mente la tua lettera. Perché in questi giorni di racconti che affiorano nelle discussioni private, appuntamenti pubblici, riflessioni pubblicate da siti o giornali, leggo in controluce una domanda: cosa è cambiato? Quanto ci ha cambiati e quanto abbiamo contribuito a cambiare? Cosa è nato, insomma, dal quel modo diverso di fare politica? Io credo molti fatti importanti che hanno cambiato il modo con il quale abbiamo ragionato, con parole (nuove) e atti concreti,di problemi mondiali e locali che rimangono, putroppo, per buona parte attuali: diritti, democrazia, razzismo, guerra, beni comuni. Non è sufficiente, ma non è questo il punto. La scommessa, infatti, era invertire un processo cominciato con gli inizi degli anni '80 e che mirava a iscrivere nell'ordine sociale e politico un unico modello economico (il neoliberismo), accettato con qualche distinzione di forma (ma nessuna di sostanza) dall'intera classe politica istituzionale nel crepuscolo di tutte le narrazioni collettive che hanno segnato il secolo precedente. A metà degli anni '90 la Banca Mondiale diceva che mezzo milione di persone al mondo erano inutili, come sono inutili le aziende che producono merci alle quali il "Mercato" non riconosce un valore. Nel 2001 il portavoce del Genoa Social Forum, Vittorio Agnoletto, mise sul piatto del dialogo con il G8 l'impegno dell'Italia ad opporsi alle richieste di sanzioni degli USA in sede WTO contro quei paesi (Brasile e Sudafrica) che producevano farmaci contro il virus dell'HIV senza pagare i brevetti alle multinazionali.
Dopo cinque anni queste istituzioni sono allo stallo (se n'è accorto anche il Sole24Ore) e credo che contribuimmo a bloccarle vincendo una parte di quella scommessa. Non tutta, perché i governi furono sordi, e in quest'ultimo esempio anche l'opposizione parlamentare attuale maggioranza.
Oggi sarebbe diverso?
Ho paura di no e soprattutto a causa di una frattura, tutt'ora irrisolta, tra politica e sociale. La politica contestata cinque anni fa, e che sembra cambiata poco, era quella che concepiva un suo primato ed autonomia per gestire un modello senza metterlo in discussione. In questa direzione ha allocato sempre maggiori risorse che l'hanno resa un esercizio di dialettica da professionisti di dibatti in prima serata (modello "Porta a porta", alle ultime elezioni è stato lampante), innavicinabile a chi non ne aveva i mezzi. Per questo abbiamo subito l'antipolitica, Berlusconi e il berlusconismo, e per la stessa ragione l'unica risposta alternativa, quella che contestava l'esistente, era affermare che c'era un altro possibile, che non ci sono dogmi economici, istituzionali o politiche che tengano quando è in gioco la vita delle persone e dell'intero pianeta. Questa cosa doveva e poteva cambiare le istituzioni storiche dentro le quali la politica esercita il dovere di individuare e rispondere agli interessi collettivi, ai bisogni di una società plurale e in cambiamento. Certo, se non ci fosse stato l'11 Settembre, ovvero l'uso e la strumentalizzazione del terrore per chiudere ogni possibilità in questa direzione. E salvaguardare il modello.
La vicenda del rifinanziamento della guerra in Afghanistan non è l'unico esempio del fatto che, in questa direzione, bisogna ridefinire domanda (da porre anche a chi, anche onestamente, è entrato dentro le istiruzione per usarle come leva di cambiamento): quali sono gli spazi e i limiti per vincere il resto della scommessa in questo contesto mutato? Penso, però, che per rispondere basterebbe fermarsi a Bologna dove in questi giorni un giornale come "Repubblica" da le pagelle di metà mandato alla giunta Cofferati che tanta parte di questo cambiamento aveva detto di voler incarnare.
Evidentemente con poco successo. Prendi gli interventi sulla questione migranti. Inefficaci sul piano pratico, hanno avvitato la discussione politica tra i favorevoli "responsabili" e i contrari "senza cultura di governo", evitando completamente il problema del messaggio politico che è arrivato in città: un intervento senza progetto che ha rafforzato l'immagine di fenomeno emergenziale e l'idea che la politica e la società possano sentirsi, in fondo, immuni dal doversi preoccupare di minoranza senza cittadinanza E ancora, rispetto al problema della crisi economica , la politica si è guardata bene dal mettere in discussione come si vende e con che modello, ma ha deciso che tra il diritto a respirare e la ricetta "più macchine, più pil" era meglio il secondo. E ancora una volta non si vede all'orizzonte nessun progetto. Invece si è monopolizzato i lavori comunali con la vicenda "legalità". Un'imbarazzante salto indietro che ha avuto l'effetto di affidare al potere giudiziario e inquirente la soluzione di problemi che attengono alla politica. Evitando, per altro, di rispondere delle proprie responsabilità. Nei giorni caldi dell'OdG sulla legalità, Radio Città del Capo intervistò il segretario del PRC Loreti e il capogruppo DS Mergihi. Il primo ha rilanciato l'idea dell'amministia per le lotte sociali, il secondo ha risposto che l'Unione doveva impegnarsi a costruire più case invece che scarcerare chi le aveva occuapte. Peccato che il tutto è avvenuto nel giorni in cui tra le prime notizie c'erano la Val Susa e il CpT di Via Mattei, due tra i tanti fatti che in Italia riguardano 10.000 persone che dal militante dei centri sociali al contadino del piemonte hanno soprattutto cercato di difendere i diritti costituzionali in questo paese.
Fatti che, per altro e tornando a Genova, rispondono anche a chi come te in questa lettera subito ma anche molto tempo dopo, non ha saputo e voluto andare oltre la "condanna della violenza gratuita". Per questo ti interesserà sapere, e solo per rimanere ai dati di fatto giudiziari quelli di Piazza Alimonda sono nel bel video del Comitato Piazza Carlo Giuliani, che per la vicenda di Bolzaneto, 250 persone torturate in due giorni, sono stati rinviati a giudizio 12 carabinieri, 14 poliziotti, 16 agenti penitenziari e 5 fra medici e infermieri accusati a vario titolo di violenza privata, lesioni personali e abudo d'ufficio. Per la vicenda Diaz i 93 manifestanti arrestati sono stati tutti prosciolti, mentre subiranno un processo 29 poliziotti, accusati di lesione e falso (per le due molotov portate per giustificare l'irruzione) e nonostante questo molti di loro hanno nel frattempo ricevuto delle promozioni. A contorno, poi, si è appurato che la carica al corteo dei disobbedienti non era autorizzata, come l'irruzione alla scuola Pascoli dove c'era il computer del Legal Social Forum (preso a manganellate), Il Manifesto e Radio Gap al secondo piano, Indymedia al terzo.
La politica che si contestava allora, e che oggi sembra cambiata poco, è anche questa. Una politica che ha perso il senso del limite. Che non riesce a vedere più la portata dei propri atti ed è incapace di prendersi le proprie responsabilità. Fosse anche solo quella di fare ammenda per aver tirato conclusioni così affrettate allora, e di domandarsi se lo stesso errore non lo state facendo anche ora.
Marco Trotta