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LIBERAZIONE E IL FASCISMO CHE RESTA
Enrico Campofreda
20 aprile 2006

"Una mattina mi son svegliato, o bella ciao ...". Non è stata mai amata da tutti la Liberazione intesa come scatto di popolo in armi che si ribella al nemico, anche nelle condizioni più improbabili tipo le quattro giornate di Napoli. Se si parla poi di bande e brigate e divisioni partigiane gli Anglo-americani, opposti alle forze dell'Asse, storcevano il naso. Quelle forme d'autodeterminazione popolare non piacevano, sapevano di giacobinismo e soviettismo, le sorti della guerra dovevano girare attorno agli eserciti con le stellette, alle grandi armi di distruzione sino a quelle atomiche. Cosicché anche la fornitura di armi leggere, coi famosi lanci, verso chi combatteva in montagna fu scarsa e rivolta al più alle forze politicamente controllabili come i badogliani. Questo punto di vista s'insinuava anche nel moderatismo politico che all'epoca formulava più l'attendismo che la partecipazione attiva per la Liberazione.

Il partigianato non piaceva perché determinava coscienza e azione, riprendeva uno dei capisaldi dell'origine storica della Patria ottocentesca nata più dal garibaldinismo che dagli accordi di Plombières. Gli eserciti popolari a orientamento ideale e ideologico, com'erano state le Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola, dovevano essere ostacolate. Eppure il partigianato nacque e crebbe e non fu un fattore irrilevante dei durissimi venti mesi di guerra in Italia, come non lo fu nell'assai più lungo e aspro conflitto resistenziale jugoslavo. Lì molti territori furono conquistati e liberati dalla Stella Rossa dell'EPLJ che mise in ginocchio la Wehrmacht. E l'Italia del Nord contò dal giugno al novembre del '44 le famose zone libere repubblicane, proprio nell'apice della distruzione e della canea repressiva nazi-fascista.

Questi i fatti, non la retorica. Capillarmente testimoniati e documentati da migliaia di lavori d'ottima fattura che la pubblicista storica ha ricostruito col certosino lavoro di almeno due generazioni di studiosi e ricercatori. Eppure la volontà politica di obliare, nascondere, affossare i capisaldi d'una storia Patria, risorta dalle ceneri della dittatura fascista e nata secondo la Costituzione dalla Resistenza, fu immediata. Tant'è che il governo Parri ebbe vita brevissima e la linea del compromesso prese il sopravvento su quella dell'affermazione dei princìpi. Così anno dopo anno, la Liberazione è diventata sempre più asfittica celebrazione che non festa di popolo.

Naturalmente c'era una parte della nazione che non festeggiava perché rimasta fascista nello spirito prima che nella nostalgia - non solo i 45.000 criminali liberati dall'amnistìa Togliatti che son più del doppio dei 12.000 uccisi fra la guerra di Liberazione partita dal settembre del '43 e proseguita nelle vendette del dopoguerra sino a tutto il '46 - erano i fascisti d'opinione che convogliavano il proprio credo antidemocratico verso i partiti del nuovo blocco conservatore (monarchici, Uomo Qualunque e anche Democrazia Cristiana). E questo fascismo, non più cinto d'orbace, l'Italia l'ha conservato coi suoi privilegi di caste da ancien régime e con la voglia di sopraffazione e menar le mani che i Farinacci del Duemila mostrano.

L'azione degli ultimi anni messa in atto dalla neodestra autoritaria - che nell'Italia pre-Tangentopoli nasce guardacaso con quell'altro socialista di nome Craxi che cerca lustro come il Duce - ha puntato per fini elettorali al recupero della destra paraeversiva del Movimento Sociale sdoganando e vivificando non tanto uomini politicamente impresentabili, Fini compreso, ma linee di condotta e pensieri ideologici assolutamente antidemocratici. Alla confusione e al pressappochismo culturali di molti media, tivù in primis, al battente revisionismo che racconta una storia diversa dai fatti accaduti, si sono accompagnate forme d'arroganza del Potere proprie delle dittature striscianti che hanno nel classismo, nel disprezzo delle leggi e della democrazia partecipata, nella sopraffazione, nella collusione, nell'uso e nella protezione della malavita i cardini per perpetuare il proprio dominio. In più s'assiste all'incrudirsi d'un individualismo antropologico che riporta pensiero e aspirazioni umane addirittura indietro di tre secoli, come se l'Età dei Lumi non fosse mai sbocciata.

Nella ricorrenza del giorno della libertà che ha diviso il mondo fra chi voleva vivere e chi voleva sottomettere e dominare più deciso corre l'impegno nella ricostruzione d'un Paese squassato nell'anima che purtroppo ha conservato in una componente politica il senso di morte di chi non vuole governare ma dominare. Da uomini liberi riprendiamo la volontà di costruire non per una parte sola ma per tutti, lottando con ogni mezzo a difesa d'una irrinunciabile democrazia.

Enrico Campofreda