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La memoria "sbagliata" della destra
Francesco "baro" Barilli
1 febbraio 2006

Non ho letto "Cuori Neri" di Luca Telese; ho invece letto con interesse l'articolo con cui il 24 gennaio Guido Caldiron ha presentato il libro su Liberazione.
Ho aspettato qualche giorno a scrivere, perché l'articolo mi ha dato da subito un senso di disagio che non riuscivo a comprendere. Inizialmente mi sono chiesto se non stavo forse cadendo nell'errore che Caldiron sembra rimproverare a molti militanti di sinistra. Caldiron ha ragione: per quelli come noi, che ancora aspettano giustizia per Fausto e Iaio, per Walter Rossi, per Piazza Fontana eccetera, accostarsi con serenità alla storia di un Paolo di Nella può non essere semplice. Ciò nondimeno, bisogna ammettere che si tratta di un esercizio doveroso, e non solo per onestà intellettuale. In buona sostanza, è pienamente legittimo invitare tutti a non ricordare solo le vittime della propria parte, nonchè sostenere che c'è bisogno di parlare DI TUTTE le vittime di quella stagione. Ma le basi di partenza devono essere diverse, se si vuole evitare di cadere (magari inconsapevolmente) in una logica bipartisan che fa torto alla storia, prima ancora che ai molti compagni morti.
Dopo aver riletto l'analisi di Caldiron, mi sono infatti convinto che il problema, ai miei occhi, non era in un semplice disagio che mi porterebbe a rifiutare d'interessarmi alle "vite dei nemici", né tantomeno in un'istintiva voglia di negare dignità alla loro morte o alla loro memoria. Il problema stava proprio nelle 10-15 righe d'apertura dell'articolo. Laddove si cita Gianfranco Fini, che a proposito dell'eversione neofascista parlò di "spontaneismo armato" e sostenne la mancanza di un progetto che la sottendeva.
Ad onor del vero l'autore dell'articolo sconfessa quelle frasi, proprio al termine del proprio pezzo, parlando di una "memoria congelata" e dell'incapacità di "guardarsi dentro". Precisazioni giuste, ma insufficienti; e la misura di questa lacuna diventa evidente tornando ancora all'introduzione di Caldiron, dove si accenna all'estrema destra post '45 come ad una congrega con desideri revanchisti che appaiono quasi romantici. Questo può essere stato parzialmente vero per la "bassa manovalanza" (ossia proprio per i ragazzi di "Cuori Neri", irretiti dalla nostalgia del ventennio), ma certamente non è vero se pensiamo agli strateghi di quel disegno. Perché un disegno c'era, eccome. E può essere chiaro se comprendiamo che la guerra fredda non comincia nel 1948, ma (perlomeno nel nostro Paese) nel 1943. Comincia con lo sbarco degli americani in Sicilia, con l'intesa segreta fra mafia, forze neofasciste e servizi segreti USA. In altre parole, già nel '43 vengono gettate le basi della logica di un mondo disegnato come contrapposizione fra due blocchi, logica che venne alla luce a Yalta qualche anno più tardi e che giustificò qualsiasi eccesso in chiave anticomunista. Infatti, la strategia della tensione comincia con Piazza Fontana, ma i suoi prodromi possiamo già vederli nel 1947, con la strage di Portella della Ginestra. E Fini dovrebbe evitare di ipotizzare "un grande mistero" su chi arruolò la manovalanza armata dell'eversione neofascista, se vuole vedere giudicate le proprie parole come un sincero tentativo di presa di distanza da quella stagione.
Una precisazione per terminare. Questo mio scritto NON vuole essere una critica al libro di Luca Telese, né tantomeno alla legittimità o all'opportunità dell'operazione letteraria in sé, che al contrario ritengo d'estremo interesse. Analogamente NON è mia intenzione criticare aprioristicamente lo scritto di Caldiron, che anzi ringrazio per la segnalazione di questo libro. Ma se vogliamo affrontare il nodo costituito dai caduti di quella che, con qualche forzatura, potremmo chiamare "una guerra civile non riconosciuta", non possiamo prescindere da una ricostruzione storica. Altrimenti si rischia di cadere (seppur innocentemente) nella stessa mentalità di una legge tesa ad equiparare a combattenti d'un esercito regolare chi, nei mesi dell'occupazione nazista, vestì la divisa della Repubblica di Salò. E in questo caso anche le vittime degli anni 60/70, di ambo le parti, diventerebbero davvero solo numeri statistici da gettare sulla bilancia della memoria.


Francesco "baro" Barilli

Note:

l'articolo di Guido Caldiron citato in questo intervento è apparso su Liberazione del 24 gennaio 2006. Potete leggerlo qui:
http://liberazione06.rifondazione.co.uk/Notizie06/01gennaio06/0601N311.htm