Ho assistito a vari telegiornali che hanno dato notizia della commemorazione del venticinquesimo anniversario della strage di Bologna, e dopo aver notato quanto spazio è stato dedicato nei vari servizi alle contestazioni subite dal vice premier Tremonti, devo tornare a calarmi nei panni del mediattivista che mal sopporta il mondo dei media ufficiali. Le televisioni hanno dato più spazio alle contestazioni a Tremonti che non alla commemorazione della strage. Ammesso e non concesso che i fischi a Tremonti dovessero avere tanto risalto, emerge un altro elemento negativo nella valutazione dell'approccio dei media in questa occasione: nessuno ha spiegato il perché di quei fischi... Personalmente non sono incline a manifestare attraverso i fischi il mio dissenso; ma avrei sostenuto molto volentieri uno striscione con scritto "non accettiamo né lezioni né solidarietà da questo Governo". Tutto questo perché ritengo che un Paese che seppe giudicare eversivo il "Piano di rinascita democratica" (in buona sostanza il manifesto programmatico della loggia massonica P2) non può accettare lezioni o solidarietà da chi, vent'anni dopo, ha adottato come proprio programma di governo una versione light di quel Piano. Ci sarebbe molto da aggiungere circa le responsabilità (in gran parte accertate, a livello storico e a livello processuale) della loggia P2 nell'inquinamento delle indagini che ha impedito fino ad oggi che nella strage di Bologna si andasse oltre l'accertamento degli esecutori materiali (e dei responsabili dei principali depistaggi), senza arrivare a mandanti ed ispiratori politici. Ci sarebbe altro da aggiungere circa le responsabilità delle istituzioni (quindi non solo di questo Governo) nella storia processuale della strage di Bologna. In quest'occasione mi premeva solo sottolineare un fatto: i fischi a Tremonti non sono "senza un perché". E pure il silenzio dei media sulle motivazioni di quei fischi non è privo di spiegazioni che dovrebbero allarmare la società circa le condizioni in cui versano i media italiani (e, conseguentemente, la nostra democrazia).
Francesco "Baro" Barilli