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Genova, resistenze a confronto per non arrendersi ai terrorismi
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione - 24 luglio 2005
25 luglio 2005

«Anche la guerra è una forma di terrorismo. E quella preventiva, dichiarata dagli Usa quattro anni fa, somiglia molto alla guerra che Israele conduce contro il popolo palestinese da 60 anni. E' la parte peggiore dell'Occidente». Ad Ali Rashid, anche la zona rossa che sfigurò Genova nel 2001, assomiglia al paesaggio che l'occupazione israeliana impone alle città medio orientali. Rashid è Primo segretario dell'ufficio in Italia dell'Anp. Parlando al Teatro della Corte, al termine delle giornate ideate da Haidi Giuliani per il quarto anniversario dei fatti di luglio, citerà padre Balducci e Tom Benetollo per spiegare che quello in corso non è uno scontro di civiltà «ma di barbarie», che la resistenza del suo popolo deve riconquistare anche le forme minime della socialità: «Perché in guerra, dopo 60 anni non si parla, si urla». Spiega ancora Rashid, di fronte all'attentato di Sharm, che la fine dell'occupazione israeliana sarebbe un duro colpo per i terrorismi.
A quattro anni dalle giornate del luglio 2001, Genova continua a tenere insieme le resistenze alla globalizzazione, interrogando non solo la memoria ma le lotte, le vertenze, le utopie in corso. Dopo i giorni del ricordo, ieri c'era da fare l'agenda in un contesto in cui «il clima di barbarie si respira anche nella rottura di ogni vincolo sociale da parte delle logiche di mercato: il lavoro è ormai merce tra le merci», ha avvertito il leader Fiom Gianni Rinaldini, per nulla ottimista sull'autunno che arriva. Tempi di fondamentalisti, ossia di «pensiero unico». Aggiunge Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, insistendo sul fatto che nel mercato dei media scompare «il racconto dell'oppressione. E se i fatti non circolano la libertà d'opinione non serve a niente».
Il convegno, moderato da Giuliano Giuliani, riuscirà a produrre un confronto tra molte esperienze di resistenza, da quella del Genoa Legal Forum (130 legali e decine di attivisti coinvolti nel supporto) a quella dei media attivisti contro la società della sorveglianza totale, dalle resistenze all'indifferenza alle ricerche di pratiche inclusive da parte delle reti femminili e dei disobbedienti, da quelle contro le mafie alle resistenze contro i fondamentalisti. «E per uno Stato che non si nasconda più dietro una divisa, che sappia riconoscere i propri errori, uno Stato dove prendere un treno e scendere in piazza siano diritti garantiti per tutti». Così dirà Lucia Bruno, la sorella di Piero, ucciso 30 anni fa da un poliziotto mentre manifestava in solidarietà con l'Angola. Con la madre di Carlo Giuliani, con la sorella di Iaio, con i genitori dell'alpino Angelo Garro morto in circostanze misteriose, con i compagni di Walter Rossi e la madre di Dax e le vittime della Diaz e molti altri, Lucia sta cercando di dare forma al «patto di resistenza civile che allontani da noi le morti non risarcite» di cui parlava Lidia Menapace, partigiana e pacifista di lungo corso, martedì scorso quando iniziavano questi incontri impernianti su parole chiave come costituzioni, repressione, diritti e, appunto, resistenze. Il loro patto si chiama "Reti meno invisibili". Prima di tutto è un portale (www.reti-invisibili.net) pieno di informazioni anzi controinformazioni visto che, a tenere insieme tutte queste vicende, è il sistema di depistaggi che ha negato verità e giustizia inquinando da mezzo secolo la vita democratica nel paese. Ieri mattina le reti sono tornate a scambiarsi notizie e idee su come far vivere una grande emergenza diritti in un quanto in cui le leggi speciali, emanate non solo in Italia in nome della lotta al terrorismo, «mettono fuori agenda» (parole di Lorenzo Guadagnucci, giornalista pestato alla Diaz), le denunce degli orrori nelle carceri, nelle piazze, nei Cpt, nei processi. «Governo e apparati delle forze dell'ordine dirette da De Gennaro, tendono a sottrarsi ad ogni forma di controllo democratici e le opposizioni non sembrano averne consapevolezza», spiega loro Gigi Malabarba, capogruppo dei senatori di Rifondazione. Per questo le "reti meno invisibili" hanno deciso di scrivere una piattaforma su cui interrogare chi si candida a sostituire le destre al governo. Chiederanno che sia rivisitato il segreto di Stato perché non serva a nascondere mandanti e autori di stragi e misfatti, chiederanno una seria inchiesta parlamentare e misure per ri-democratizzare le forze di polizia e le forze armate. Stavolta a chiedere che non si ripeta più «un'altra Genova» ci sono anche operatori della forza di polizia di un gruppo di lavoro del Prc che sono venuti al Teatro della Corte a distribuire un documento per chiedere un confronto con la società civile e i movimenti. Prossima stazione il due agosto a Bologna. Le reti saranno ancora nel corteo con i familiari della strage alla stazione.