«Non sapremo mai. E chi ha ordito, coperto, depistato, eseguito, può stare tranquillo. E le 17 vittime di Piazza Fontana continueranno a vagare come fantasmi alla disperata ricerca di un luogo di giustizia». A Manlio Milani, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime di Piazza della Loggia - 8 morti e 32 feriti nello scoppio di una bomba a Brescia il 28 maggio 1974 - sembra di essere tornato all'anno zero «dopo 36 anni di attesa e impegno per tenere viva la memoria e rivendicare con essa verità e giustizia». Il colpo di spugna della Cassazione, che assolve tutti e condanna i familiari dei morti di Piazza Fontana a pagare le spese, gli sembra quasi un «avvertimento» lanciato a chi, come lui, dovrà sostenere altri processi. Amarissimo, dunque, il «grazie Cassazione! Che l'orrore del silenzio continui», pronunciato da un uomo che vide morire sua moglie mentre partecipava a una manifestazione sindacale e attende da troppi anni di conoscere il nome dei colpevoli.
Ustica, Stazione di Bologna, Franco Serantini (dopodomani saranno 33 anni esatti da quando un gruppo di celerini lo massacrò a morte e poi tentò di buttare il cadavere in un fosso), Fausto e Iaio, Piero Bruno e poi Carlo Giuliani, Via dei Georgofili, Rapido 904, Peppino Impastato. Storia e geografia dello stragismo sono liste interminabili di nomi e luoghi scaraventati alla ribalta da mani invisibili - fascisti, mafiosi, pezzi di apparati dello Stato - e da altre mani che hanno garantito silenzi, inefficienze, depistaggi e impunità. Il filo che tiene insieme quei nomi è la parziale o totale mancanza di giustizia e verità: in 453, a tanto arriva l'agghiacciante contabilità della morte, sono stati uccisi due volte: su un treno, un aereo, in piazza e poi nell'aula di un tribunale.
Le associazioni di memoria non si fermano: continuano a reclamare verità e svolgono attività sociali che proseguano l'impegno di un padre, un figlio o un fratello stroncati per caso, spesso, oppure mentre esercitavano l'elementare diritto di rivendicare diritti.
«Non possiamo permetterci di scoprire tra trent'anni altri armadi della vergogna», dice Giuliano Giuliani, padre di Carlo, ucciso a Piazza Alimonda, negli scontri innescati dalla carica violentissima e senza ragione di un plotone di carabinieri a un corteo regolarmente autorizzato. L'armadio della vergogna di cui parla è quello scoperto nel tribunale militare centrale. Era girato con le porte rivolte verso il muro e per quarant'anni ha insabbiato tutte le inchieste sulle stragi naziste della II guerra mondiale. La scia di sangue ha radici profonde nella storia d'Italia.
«Come fa un paese a vivere in queste condizioni, umiliato e offeso dall'impunità dei responsabili di pezzi importanti dello Stato?», si domanda Haidi Giuliani, la mamma del ventitreenne ucciso a Genova nel 2001. Il caso è stato frettolosamente archiviato ma il comitato Piazza Carlo Giuliani non smette di rivendicare verità e giustizia. A tutti i livelli. Da un lato partecipando ai processi in corso, scaturiti dalle violenze di polizia del G8. Dall'altro mettendosi in rete con altre associazioni di memoria per incalzare la politica. «Chi si candida a sostituire Berlusconi dovrebbe anche dirci che cosa vuole fare per constatare la verità su Genova, le responsabilità politiche e della catena di comando», dicono ancora a Liberazione, Haidi e Giuliano che ricordano gli scarsi esiti della blanda indagine parlamentare, senza poteri di inchiesta, istituita all'indomani dei fatti.
Piero Bruno fu ucciso nel '75 dalle forze dell'ordine mentre manifestava in solidarietà con l'Angola. Nessuno avrebbe mai pagato. Ma sua sorella Lucia e i suoi compagni di allora (con i compagni di Walter Rossi, Dax, Fausto e Iaio ecc...) continuano a cercare giustizia. «Com'è andata a finire per Piazza Fontana mi ha provocato rabbia e frustrazione, anche se me l'aspettavo. Ora però la parola torna alla politica. E' fondamentale che si attivi per vere inchieste parlamentari, per l'abolizione delle leggi speciali, la rimozione del segreto di stato e la divulgazione della memoria tra i giovani, nelle scuole», richieste che le associazioni di memoria (sostenute da un portale, http://www.reti-invisibili.net) avanzano da tempo senza ricevere l'attenzione che meritano nonostante le avessero pronunciate in convegni pubblici. Esemplare la testimonianza di un altro familiare: «Questa sentenza è oscena per due motivi: non ha tenuto conto delle novità emerse e s'è risolta con l'addebito delle spese alle vittime - dice Paolo Bolognesi, presidente dell'Unione vittime per stragi che raccoglie i familiari di chi morì a Brescia, Piazza Fontana, sui treni Italicus e 904, in Via dei Georgofili e alla Stazione di Bologna - la società civile che ha tentato di ottenere verità viene stroncata da un finale del genere. E allora il governo che verrà che abbia un comportamento consono alle voci di scandalo che si sono levate in questi giorni». Bolognesi denuncia da anni che una legge di iniziativa popolare è già stata scritta nel 1984 dalle vittime per chiedere l'abolizione del segreto di stato, almeno per i reati di stragi e terrorismo. «Se fosse stata approvata non sarebbe andata a finire così». Così anche la legge quadro per la tutela delle vittime s'è arenata in commissione giustizia a Montecitorio.
«Questa, che è la fase di costruzione del programma dell'Unione - considera Graziella Mascia, deputata di Rifondazione - è anche il momento di assunzioni precise di responsabilità su vicende che hanno segnato la storia del Paese. I protagonisti di questi anni devono essere anche i protagonisti della costruzione di questo capitolo dell'alternativa».