Assolto perché il fatto non costituisce reato l'agente di polizia che l'alba del 30 luglio 2011 sparò e uccise Bernardino Budroni, nel corso di un inseguimento sul Grande raccordo anulare.
In particolare Roberto Polella, il giudice monocratico del tribunale di Roma ha fatto cadere le accuse contestate al poliziotto, Michele Paone, perché ha riconosciuto - in base al dispositivo letto in aula - l'uso legittimo delle armi.
Il pm Giorgio Orano in sede di requisitoria aveva chiesto per l'imputato una condanna a 2 anni e sei mesi di reclusione. La madre e la sorella di Dino Budroni, dopo la lettura del dispositivo hanno gridato e pianto.
L'avvocato di parte civile, Fabio Anselmo, subentrato ad un collega nel corso della vicenda, ha spiegato: «Sono sorpreso. Condivido l'amarezza della famiglia. Ritengo che questa sentenza sia incomprensibile».
La polizia si era messa sulle tracce di Budroni in seguito ad una serie di chiamate al 113 fatte dall'appartamento della sua fidanzata. La vicenda era iniziata infatti nei pressi dell'abitazione di via Quintilio Varo, al Tuscolano. «Me lo hanno ammazzato per la seconda volta». Così la mamma di Bernardino Budroni. «Adesso diranno che Dino si è sparato da solo - ha continuato Claudia, la sorella della vittima - La gente della giustizia dopo una cosa del genere dovrebbe guardarsi dentro. È uno schifo». Trattenuta a stento da Ilaria Cucchi, la donna ha aggiunto rivolgendosi ad alcuni agenti di polizia in borghese: «Adesso sparate a me se avete coraggio. A me non mi fate paura».