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Caso Luciano Isidro Diaz: Caro Cattaneo, ecco perché l'assoluzione di quei carabinieri non fa notizia
Ilaria Cucchi
3 agosto 2014

Caro Carlo Cattaneo,
Ho letto con interesse la sua personalissima ricostruzione delle drammatiche vicende che hanno avuto quale protagonista assolutamente involontario il mio amico Luciano Isidro Diaz. Non intendo entrare in polemica con lei per il gran numero di "imprecisioni" ed "inesattezze" che costellano il suo avvincente racconto. Mi preme soltanto rispondere agli interrogativi che tanto la angustiano sul perché la stampa ed i media non hanno dato adeguato risalto alla assoluzione dei 5 carabinieri del NORM di Voghera imputati di vari reati contestati dalla procura di Pavia commessi in danno di Luciano.

Ho a cuore la sua serenità e quindi le rispondo subito. Perché Luciano, nel denunciare il pestaggio subito in due occasioni (uno al momento del suo fermo in autostrada ed uno poi nella caserma di Voghera dove è stato successivamente portato), è stato ritenuto testimone attendibile da quattro giudici ed, incidentalmente, dalla Suprema Corte di Cassazione. Perché per il pestaggio subito al momento proprio uno dei carabinieri "assolti" è stato viceversa condannato dal Giudice di Tortona alla pena di 2 anni e tre mesi di reclusione con trasmissione degli atti alla procura per procedere anche nei confronti dell'altro carabiniere intervenuto.

Perché la Corte d'Appello di Torino ha confermato quella sentenza con una piccola riduzione di pena. Perché tutti i giudici hanno accertato che Luciano era in perfette condizioni fisiche al momento dell'arresto mentre è stato restituito alla società civile pieno di ecchimosi ed ematomi, con doppia bilaterale perforazione di timpano ed altrettanto doppio distacco di retina che ne hanno compromesso in modo definitivo e totale l'uso di un occhio e grandemente pregiudicato la funzionalità dell'altro con prognosi infausta.

Perché proprio per questo, nel processo di cui parla e che tanto lo angustia, Luciano non ha saputo riconoscere gli autori di quel pestaggio. Perché quella sentenza di assoluzione è stata pronunciata solo in primo grado come correttamente da lei detto ma per insufficienza di prove. Stia sereno quindi, signor Cattaneo, ed attenda di leggerne le motivazioni prima di angustiarsi. Intanto se vuole le mando le motivazioni delle sentenze di condanna già pronunciate su quella vicenda che lei ricostruisce in modo così personale. Ma lei c'era? Le sentenze che sono state già pronunciate parlano.

Stia sereno. Con affetto

Ilaria Cucchi

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riportiamo di seguito l'articolo di Carlo Cattaneo ("Quando i Carabinieri assolti non fanno notizia. Il caso di Luciano Isidro Diaz") del giorno 1 agosto 2014 a cui risponde Ilaria Cucchi

Poco si è saputo sia in tv sia sull'italica stampa perché, probabilmente, il processo non s'è concluso con una condanna esemplare nei confronti dei sei Carabinieri coinvolti come, probabilmente, alcuni auspicavano. Di cosa si tratta? Di una tipica storia nostrana. Solo un più nascosta rispetto ad altre dello stesso tenore. Trattata, diciamo, con più riguardo e riservatezza dai media. Questa è la sua "sinossi".

La cronistoria di un lungo percorso iniziato, nell'aprile del 2009, nei confronti di alcuni servitori dello Stato (Massimo Bergozza, Umberto Cardillo, Marco Iachini, Nicola Sansipersico, Giuseppe Spoto e Cirino Turco) accusati di aver percosso brutalmente tale Luciano Isidro Diaz, un cittadino argentino da parecchi anni residente in Italia. Di professione allevatore di cavalli nel (suo) ranch in Valsassina.

Il capo d'accusa, lesioni personali, è forse il più ignobile e detestabile per chi, quotidianamente, opera per garantire ordine e sicurezza. In un Paese, tra l'altro, ancora scosso dalle tristi vicende legate ai casi di Stefano Cucchi e dello studente Federico Aldrovandi per citare solo i più famosi. Questi i fatti, così come emersi durante il dibattimento.

Siamo nell'aprile 2009, il Diaz guida un grosso Suv nero, un lussuoso Mercedes ML dai vetri oscurati. L'auto non si ferma al posto di blocco della pattuglia composta dai carabinieri Cirino Turco e Marco Iachini. Anzi, uno dei due (Iachini) rischia di essere investito. Parte, dunque, un inseguimento in puro stile action movie americano, iniziato a Voghera e concluso, diversi chilometri dopo, a Castelnuovo.

Sempre dal famoso Suv, il Diaz, dopo l'inseguimento, scende brandendo un coltello (per consegnarlo, dice lui, ma servirà una concitata colluttazione per levarglielo dalle mani), dimenticando che in Italia non si impugnano né si trasportano coltelli a lama fissa di oltre 10 cm così, come fossero giocattoli. Avrebbe dovuto saperlo perché, archiviato in un remoto ambito della propria memoria, l'argentino ha un precedente per porto abusivo di quel tipo di arma e resistenza.

Durante le udienze ha più volte sottolineato che "voleva consegnarlo", quel coltello, aggiungendo, e questo è più grave visto l'esito finale del processo, "che i carabinieri l'hanno picchiato senza motivo". Però, Luciano Diaz, patteggia la resistenza a pubblico ufficiale e il porto abusivo di arma. Tuttavia, tre giorni dopo l'udienza di convalida, si reca in Pronto Soccorso vicino al luogo in cui vive, (Primaluna), e si fa refertare ferite che dice essergli state procurate in caserma, a Voghera, da 6-8 carabinieri. Insomma, per farla spiccia, menato senza pietà.

Al punto che lui "avrebbe firmato tutto pur di uscire", dice, nel processo in cui è parte offesa. In tutto ciò, contraddicendo la logica comportamentale di chi è stato fisicamente offeso da un sopruso, non sottoscrive un atto né un solo verbale, né collabora al foto segnalamento, che viene ultimato a Tortona dai carabinieri locali, il giorno dopo l'arresto. Ed ecco, come in un vero film che si rispetti, quindici giorni dopo l'udienza, il colpo di scena. Il Diaz sporge querela per le inaudite violenze subite, secondo quanto deposto, asserendo nelle fasi successive del processo, che i carabinieri di Tortona e Voghera non gli avrebbero permesso di farsi vedere da un medico. Tutti alleati contro il Diaz, sembrerebbe. Peccato che non tutte le Procure ci credano e che i carabinieri di Tortona non siano stati rinviati a giudizio per omissione di soccorso, come invece quelli di Voghera. Che, guarda caso, tranne uno su sei, non vengono riconosciuti durante l'incidente probatorio.

Il primo grado s'è appena concluso con l'assoluzione, per ogni reato contestato, dei militari coinvolti. Il presidente del collegio penale del Tribunale di Pavia, Stefano Scati, ha assolto tutti i Carabinieri perché il fatto non sussiste. Diaz, e questo dovrebbe farci riflettere, era difeso da quello stesso Fabio Anselmo che tutela le famiglie dei poveri Cucchi, Androvaldi, Uva, Mogherini. Dalle parole dell'avvocato Anselmo, durante l'arringa, è emersa la tentazione di serializzare una certa situazione di contrasto sociale, "gendarmi cattivi protetti dalla divisa, contro poveri cristi".

Una posizione che emerge, senza fraintendimento, dalla petizione da lui sottoscritta e che fa unicamente riferimento, quanto al reato di tortura, alla violenza attuata da forze dell'ordine a danno di comuni cittadini. Ma, se certe argomentazioni possono essere propedeutiche alla stesura di una valida sceneggiatura, non sempre sono adeguate alla vita reale. Proprio perché, ben lo sappiamo, non tutte le storie tra loro si somigliano. Non tutti i carabinieri e poliziotti (anzi, pochi) sono "gendarmi cattivi". E, soprattutto, non sempre i fermati sono "poveri cristi".

A volte sono anche imprenditori di successo a bordo di Suv lussuosi, che decidono - per farsi gli affari propri nel vero senso della parola (Diaz sostiene di non essersi fermato all'alt perché "aveva fretta di tornare al ranch per fare partorire una cavalla") - che un alt di pattuglia in servizio non è importante tanto da essere volontariamente disatteso. Oppure, che scendere con un coltello in mano, dopo aver forzato un posto di blocco, serva esclusivamente a "denunciarne il possesso".

Per fortuna, i giudici del Tribunale di Pavia non gli hanno creduto, salvando il posto di lavoro e l'onorabilità di sei tutori dell'ordine provati e sconvolti, insieme alle loro famiglie, da cinque anni di processo. Ora, in attesa delle motivazioni (previste per la fine d'ottobre) e di un eventuale appello che la Procura Generale potrebbe avanzare, possiamo dire che alla situazione è stato messo, più che un punto fermo, un punto e a capo.

Resta solo un quesito finale: quale sarà, oggi, alla luce della sentenza di primo grado, il pensiero di quei deputati (o ex) che il 28 giugno 2010 hanno condiviso questa durissima interrogazione parlamentare a risposta scritta, presentata da Rita Bernardini? A "buon diritto", anche i Carabinieri meriterebbero di essere riabilitati da giudizi, forse, eccessivamente severi e frettolosi.