Il Senato ha approvato il disegno di legge diretto all'introduzione del crimine di tortura nel codice penale italiano. L'Italia era obbligata a farlo sin dal 1988, anno della ratifica della Convenzione Onu contro la tortura.
Adesso spetta alla Camera dover esaminare il testo. Va ricordato che il prossimo autunno il nostro Paese sarà giudicato dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite in occasione della Revisione Periodica Universale e questo sarà certamente un tema che verrà sollevato dagli altri Stati. Il testo approvato a Palazzo Madama non ripropone fedelmente quello presente all'articolo 1 del Trattato Onu.
La tortura per il nostro legislatore non è un delitto proprio, ovvero un delitto che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale. Il legislatore lo ha configurato come un delitto generico. L'autore può essere dunque chiunque. Nella discussione è stata data enfasi ad ambiti di applicazione (contesto mafioso o familiare) che non fanno parte del campo giuridico internazionale tipico della tortura. Il delitto viene collocato tra i delitti contro la libertà personale subito dopo lo stalking.
"Chiunque con violenza o minacce gravi, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni". Rispetto alla definizione internazionale di tortura manca inoltre il dolo specifico, ovvero non è previsto che le sofferenze prodotte siano finalizzate a scopi precisi.
Va ricordato che la tortura può essere giudiziaria o punitiva. Nel primo caso il fine del torturatore è quello di estorcere confessioni. Nel secondo caso umiliare la persona che subisce le violenze. Il disegno di legge prescinde dalle intenzioni specifiche dell'autore del reato, rendendo probabilmente meno difficili le indagini degli inquirenti e le ricostruzioni dei giudici. È prevista una circostanza aggravante specifica nel caso di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Così nel caso classico di tortura commessa da esponenti delle forze dell'ordine la pena può salire sino ai dodici anni.
È punita anche l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere atti di tortura con pena da sei mesi ai tre anni. Inoltre viene esplicitato che le dichiarazioni estorte con tortura non hanno alcun valore processuale. Tortura e verità appartengono infatti a campi semantici ben distinti. Uno sguardo è rivolto alle relazioni internazionali. Ribadendo quanto già previsto nel Trattato di Lisbona della Ue si afferma che non è ammesso espellere o estradare una persona verso Paesi dove rischia di essere sottoposta a tortura. Varie negli ultimi anni sono state le condanne della Corte Europea dei Diritti Umani nei confronti dell'Italia per espulsioni o respingimenti forzati verso Paesi dove la tortura non è episodica ma sistematica. Viene infine negata l'immunità diplomatica ai cittadini stranieri condannati o imputati per tortura da un giudice di un altro paese o da un giudice internazionale, quale ad esempio la Corte Penale Internazionale.