E' iniziato ieri, dopo due rinvii, con la notizia dell'ammissione dell'associazione "A buon diritto" tra le parti civili il processo per l'omicidio di Dino Budroni. Nell'aula 22 di Piazzale Clodio, a Roma, sono sfilati i poliziotti dell'equipaggio della Volante Beta Como e l'assistente capo che comandava l'altra volante, la 10, a bordo della quale c'era l'agente che ha sparato due colpi in rapida successione su un'automobile che viaggiava ormai a velocità ridotta, «quasi ferma» secondo i familiari dell'uomo.
L'agente scelto è imputato dal 19 dicembre del 2012 per perché, secondo un pm, sparava a distanza ravvicinata quando ormai «l'utilizzo dell'arma, in quella fase dell'operazione, comportava un rischio non più proporzionato alla residua possibilità di azioni lesive e pericolose». Nessuno gli ordinò di sparare, nemmeno mirando alle ruote.
La presenza di "A buon diritto", animata da Luigi Manconi, e la presenza in aula di alcuni attivisti di Acad, l'associazione contro gli abusi in divisa, e, come sempre dall'inizio del caso di Lucia Uva, Ilaria Cucchi e della madre di Stefano Gugliotta (il ragazzo pestato senza alcuna ragione nei pressi dell'Olimpico), conferma l'impressione che sia un processo per l'ennesimo caso di "malapolizia". A rappresentare la famiglia Budroni, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, gli stessi legali dei casi Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli, Diaz ecc...
In realtà il caso ha tardato a manifestarsi in tutta la sua evidenza per via di alcuni titoli di giornale, all'indomani dell'omicidio, che avevano bollato la vicenda come "sparatoria sul Gra" oppure come "uccisione di uno stalker violento durante un inseguimento". La lettura degli interrogatori ai poliziotti a ridosso della morte di Budroni fa pensare più a un nuovo "Caso Sandri avvenuto però sull'arteria stradale che circonda la Capitale. In aula, gli agenti hanno restituito il racconto di un inseguimento a velocità eccessiva tra le prime auto a partire per l'esodo estivo. Era il 30 luglio del 2011.
Volante 10 era stata allertata per la presenza di Budroni sotto casa della sua compagna o ex compagna, fino a due-tre giorni prima vivevano insieme. Budroni telefonava e mandava messaggi alla donna, poi è arrivato sotto l'abitazione arrivando a danneggiare il portone. Secondo gli agenti della Volante, sfuggì una prima volta al controllo di polizia, ripartendo di scatto dopo aver finto di fermarsi. Poi, in rapida successione, l'inseguimento sul raccordo con l'arrivo dell'altra volante e di una radiomobile dei carabinieri che, con una manovra a tenaglia, riuscirono a far fermare la vettura di Budroni, una Focus, senza nemmeno che si schiantasse sul guardrail o addosso alle vetture inseguitrici. Poi, nei secondi finali, i due spari senza che nessuno gli avesse dato ordine di impugnare l'arma e fare fuoco. Così è stato confermato in aula nei racconti degli agenti che ricordano di aver visto Budroni rantolare ma ancora vivo, di aver chiamato l'ambulanza e di aver trovato una pistola giocattolo e una piccozza nell'abitacolo e un coltello nei calzoni dell'uomo. Circostanze che dovranno essere incrociate con le registrazioni radio e con altre voci. Gli spari sarebbero stati esplosi mentre le due auto, Beta Como e la Focus, non erano perfettamente affiancate. Budroni s'è accasciato sul fianco destro.
Ma poco prima un impatto c'era stato. Gli agenti interrogati sostengono che Budroni procedesse a zig zag per aprirsi un varco e che tentasse di speronarli, secondo una perizia sarebbe invece la Focus ad essere stata speronata. Il 18 dicembre, oltre ai due carabinieri della radiomobile, inizierà l'ascolto dei consulenti perché saranno le perizie, quella balistica e quella sulle auto, a dare conto di quello che avvenne sul raccordo anulare quella notte di luglio. A sorpresa è spuntato il referto di un pronto soccorso per due degli agenti che nell'inseguimento si sarebbero procurati contusioni e piccole ferite. Uno di loro ammette che «Se potessimo riavvolgere il nastro lo faremmo molto volentieri», che «fu una manovra sbagliata da un punto di vista operativo».