Chiedeva aiuto mentre veniva pestato con i manganelli da quattro agenti di polizia. Chiedeva aiuto Michele Ferrulli, l'uomo di 51 anni morto quel 30 giugno di due anni fa a Milano quando gli si fermò il cuore sotto la gragnuola di colpi mentre quattro agenti lo stavano arrestando. Lo ha raccontato ieri in tribunale Emilian Nicolae, il romeno di 53 anni che quella sera era con Ferrulli in via Varsavia, periferia sud-est del capoluogo lombardo, vicino ad un bar, dove una Volante della polizia intervenne perchè da una casa vicina erano arrivate lamentele per schiamazzi in strada. E mentre osservava la scena, Ferrulli era già fermo, ammanettato.
Ma non è stato un racconto facile per il romeno, sentito nel processo in Assise a carico dei quattro poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale, che ha, in sostanza, confermato quanto aveva messo a verbale il 3 luglio del 2011 davanti al pm di Milano, Gaetano Ruta. Nicolae era visibilmente impaurito. Inizialmente, ha voluto precisare che «ero un pò ubriaco quella sera, non chiedetemi tanti dettagli soprattutto sugli orari». E, nel corso della sua testimonianza ha risposto con alcuni «non ricordo», tanto che il pm più volte ha dovuto chiedergli di chiarire meglio degli aspetti del suo racconto. Il romeno ha spiegato di aver «visto una lotta tra i poliziotti e Michele che era poi caduto giù a terra con un mucchio di persone sopra, i poliziotti». Ha detto di aver visto anche «colpi dall'alto in basso». E il pm: «A mani nude o con dei bastoni?». Il teste: «Con qualche strumento, qualcosa doveva essere». Poi ha confermato quanto aveva messo a verbale in fase di indagini, quando aveva riferito al pm che Ferrulli era stato «picchiato» facendo uso «di manganelli, mi sembra di ricordare». In quegli istanti, sempre stando alla versione dell'uomo, «Michele ha chiesto aiuto». Il testimone ha poi chiarito, però, di non «essere in grado di riconoscere» e di ricordare il volto dei poliziotti.
Quella notte fu tremenda anche per Nicolae e forse per questo era ancora scosso: «Sono stato portato in Questura e ci sono rimasto tutta la notte, seduto su una lastra di cemento, non l'ho mai capito perchè sono stato tenuto lì tutta la notte». Rispondendo alle domande dell'avvocato Fabio Anselmo, legale dei familiari di Ferrulli, il romeno ha raccontato che quella sera venne fatto salire sulla macchina degli agenti e poi passò tutta la notte in Questura. «Non ho mai capito il motivo avevo anche paura perchè non mi era mai successo in vita mia di stare in Questura». Ha detto di non ricordare se avesse o meno chiesto ai poliziotti «perchè dovevo stare lì». Ha raccontato, inoltre, che è rimasto seduto «su una lastra di cemento assieme ad altre persone e la porta della stanza era chiusa a chiave». Ed ha aggiunto: «Nessuno mi ha detto che ero accusato di qualcosa, che io ricordi». In mattinata, aveva testimoniato anche la figlia di Michele Ferrulli, Domenica, concludendo il suo esame già iniziato nelle precedenti udienze. Ai difensori degli imputati che le hanno chiesto perchè abbia effettuato alcune registrazioni ambientali di testimoni nei giorni seguenti alla morte del padre, la giovane ha spiegato che aveva «paura che il procedimento venisse archiviato». Irrintracciabile il perito del giudice che avrebbe dovuto analizzare la traduzione dal romanes (la lingua dei rom) del video che inchioda gli agenti. L'udienza è stata aggiornata al prossimo 3 ottobre. In aula, come sempre, gli attivisti di Acad, l'associazione contro gli abusi in divisa, e Lucia Uva, sorella di Giuseppe, ucciso a Varese in ospedale dopo l'arresto dal parte di carabinieri e una nottata in una caserma di polizia.