Profanata la tomba di Dino Budroni nel cimitero di Mentana, a una manciata di chilometri dalla periferia est di Roma.
E' la terza volta che accade. Suo padre, Virgilio, ogni mattina da due anni va al camposanto e per la terza, l'altroieri, s'è accorto che era stato sparecchiato tutto: la pergamena di marmo, il cuoricino giallorosso - Dino era tifoso della Roma - e i piccoli regali che erano stati portati nei mesi dai suoi genitori e le nipoti. Perfino i fiori hanno portato via. Uno sfregio da vigliacchi.
Poi, sotto un angioletto di marmo, un biglietto scritto in stampatello: «Se era bravo non gli succedeva (non era uno stinco di santo rompeva i coglioni alle donne».
Per la terza volta il signor Virgilio è entrato nella stazione dell'Arma per sporgere denuncia ma i carabinieri di Mentana non hanno voluto mettere a verbale il pizzino: «Questo può tenerlo, non serve a niente», s'è sentito dire dal militare e solo stamattina, al secondo tentativo e dopo molte insistenze, il biglietto è finalmente finito nel fascicolo dell'improbabile indagine. Non senza manifestazioni di scetticismo da parte dei tutori dell'ordine: «Ma cosa crede il suo avvocato di acciuffare il colpevole con questo?». Per la cronaca il legale della famiglia è Fabio Anselmo, lo stesso delle famiglie Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli ecc...
Il processo per l'omicidio di Dino Budroni inizierà il primo ottobre a due anni e due mesi da quando un agente di polizia gli sparò dopo averlo speronato al termine di un inseguimento quando le auto - secondo perizie e testimonianze - erano ormai ferme sul raccordo anulare di Roma. Budroni era disarmato, con le mani attaccate al volante che alzò, come per arrendersi, solo dopo essere stato attraversato dal proiettile. Fin dal primo momento venne fornita ai giornali una versione opaca su una «sparatoria sul Gra» mai avvenuta tra poliziotti e uno «stalker». Invece era un altro caso Sandri, l'ennesimo.
Fu un modo, secondo la famiglia, per processare da morto, e a mezzo stampa, una persona dopo la sua esecuzione sommaria. E per intorbidire le acque di un'indagine che avrebbe stentato a mettersi in moto e che ancora non ha superato il rischio che a finire sotto processo ci sia il morto anziché chi gli sparò a bruciapelo. Consapevole o meno, il profanatore della tomba fa parte della stessa schiera di giustizieri intossicati dall'ideologia sicuritaria di questi anni.