IN FONDO si tratta di un riformatorio e per raddrizzare le schiene servono bastonate. Don Andrea, nel 1960 ne è il cappellano. E gioca la carta della fiducia, concede libertà prima inimmaginabili. Talmente inimmaginabili che, dopo soli tre anni la sua congregazione salesiana lo rimuove dall'incarico. E lui lascia i seguaci di don Bosco per mettersi alle dipendenze della curia di Genova.
Il "principale" è un tipo burbero, abituato a considerare i suoi preti come figli, e come tali, a correggerne ogni esuberanza. Figurarsi cosa accade quando il giovane vice-parroco del Carmine inizia, dal pulpito, ma ancor più nella vita di tutti i giorni, a sottolineare la sua scelta di campo in favore degli ultimi, degli emarginati. Curiosamente, in quegli anni, il cardinale Siri, ha un altro Gallo che lo tormenta. È la rivista fondata nel dopoguerra da Nando Fabro intorno a cui si sono radunati i cattolici progressisti. Scattano i richiami formali. La chiusura è evitata ma viene richiesto alla redazione "di attenersi all'istituto della revisione ecclesiastica preventiva per gli scritti che riguardano la dottrina la morale e il costume". In altre parole: censura.
È in questo clima che si concretizza lo strappo che condizionerà in maniera definitiva la vita di don Andrea. È il 1970 e la parrocchia del Carmine, proprio come le colonne del Gallo, è diventata punto di riferimento. Il casus belli è quasi leggendario. Un'omelia in cui, partendo dalla scoperta di una fumeria di hashish, si alzano i veli sulle mille ipocrisie, a cominciare da quella del linguaggio, che ingabbiano gli ultimi. Sembra di sentire parlare don Milani. E se don Milani viene esiliato a Barbiana perché, per il vescovo Elia Dalla Costa è "una campana stonata", don Gallo, per Siri è "un povero prete", da cacciare dal Carmine. E anche se l'obbedienza, da tempo, non era più una virtù, don Andrea si concede l'unica trasgressione di rifiutare il ritorno al ruolo di cappellano del carcere di Capraia.
Ad aprire le sue braccia, e le porte della sua chiesa sarà don Federico Rebora, parroco di San Benedetto al Porto. Nasce la comunità che Siri segue con un misto di scetticismo e affetto. Ma il rapporto con il prete ribelle non si interrompe mai. E, in più di un'occasione, l'arcivescovo, piomba a sorpresa a San Benedetto, parla con i ragazzi, condivide le loro sofferenze. Su altri temi, inesorabilmente, il dialogo è più difficile. Anzi: nullo. Al punto che Siri, nel 1974, impone a don Andrea il silenzio in occasione del referendum sul divorzio. Don Gallo, come al solito, obbedisce. Non lo farà don Gianni Baget Bozzo, dieci anni dopo, quando deciderà, nonostante tutto, di candidarsi al parlamento europeo per il Psi. Siri gli comminerà quella sospensione a divinis che in tanti, a più riprese, e fino agli ultimi giorni, invocheranno per don Andrea.
Dopo il grande sovrano della chiesa genovese, il prete di San Benedetto si trova a trattare con Giovanni Canestri, dirottato a Genova per un traghettamento soft dopo anni di monarchia assoluta. Il mite ex vescovo di Cagliari non vuole aprire fronti incandescenti. E si limita a qualche rimbrotto. Un dialogo rimane memorabile: "Guarda qui quante proteste mi arrivano: stai con gli atei, i comunisti, le prostitute". Replica: "E Gesù con chi starebbe"? Canestri: "Se la metti su questo piano...". La stima reciproca non verrà mai meno. Così come franco e cordiale rimarrà il rapporto con Dionigi Tettamanzi. Certo, anche lui avrà un sussulto nella notte di San Silvestro del '98, in cui il don organizzerà una festa dal vago sapore di rave nella sua cascina piemontese, non prima di avere setacciato, con il suo pulmino, lucciole, extracomunitari, tossicodipendenti, clochards. Ma è troppo il rispetto. E quando don Gallo annuncerà di avere aiutato proprio una prostituta ad abortire, mentre i soliti invocano il rogo, non prenderà neppure carta e penna. Basterà una telefonata.
Ben diversi i rapporti tra don Gallo e Tarcisio Bertone. La chiesa degli ultimi contro quella del potere. Per mesi Bertone non lo degna di una visita, parla di lui solo sui giornali. Fino a quando non puntualizza che "la chiesa genovese continuerà a svolgere i suoi interventi a favore dei poveri, dei senza dimora, degli emarginati, degli anziani, dei giovani e delle giovani a rischio, ma nell'autenticità dello spirito del Vangelo". L'avversativo esalta la destra che continua a sognare la bastonata finale. Ma Bertone ha altre mire e altri interessi. Il caso san Benedetto sarebbe solo un impiccio.
L'ultimo raggio di sole splende con Angelo Bagnasco. Non che tra i due vi sia un grande feeling nell'interpretazione della realtà, ma l'abbraccio in Comunità vale più di mille parole. Bagnasco loda la "fantasia del bene". A tavola, don Andrea scherza: "Non è ostile, non mi ha richiamato..."