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Dalla Garaventa fino al G8: la vita come una lunga battaglia
Wanda Valli
Fonte: Repubblica Genova, 23 maggio 2013
23 maggio 2013

FA STRANO dirlo e pensarlo: don Andrea Gallo non c'è più. Fa strano come immaginare un pezzo di Genova che si sgretola, una parte della città che perde la sua voce, la sua casa, i suoi affetti. Perché per la gente della Comunità di San Benedetto al Porto, il "don" era tutto questo. E non solo per loro. Una battaglia dietro l'altra, Andrea Gallo, era diventato il simbolo di una Genova che non si arrende, che combatte e contrasta ingiustizie o soprusi. Di stato o privati. La zona rossa al G8 come le violenze per le donne di strada. Si è sempre sentito un uomo di Dio, don Gallo, e per questo obbligato a aiutare gli altri: gli umili prima di tutto, e chi gli chiedeva una mano, fossero drogati o rivoluzionari. Gente senza casa o smarrita in una vita di cui non riusciva a trovare il bandolo. Lui, quel filo intessuto di "pietas", di partecipazione umana, lo aveva sempre pronto. Lo sapeva srotolare in qualunque momento, quasi fosse un filo magico, per affidare l'altro capo a chi gli diceva, «don, non ce la faccio».
Se n'è andato senza clamore don Andrea Gallo, prete di strada, prete degli "ultimi", prete che si è fatto uomo, megafono, scudo, per quelli che voleva proteggere da una società non certo equa, spesso ingiusta. Dalle loro fragilità. Da uomo di chiesa si è incamminato verso il paradiso, sereno e contento: perché è arrivata la chiesa di Papa Francesco, la chiesa dei poveri, aperta a tutti. E al Papa è dedicato il suo ultimo libro "In cammino con Francesco", dove il don aveva raccolto omelie e interventi nei momenti di gioia, matrimoni, battesimi e in quelli del dolore: i funerali di Fabrizio De Andrè nella basilica di Carignano, il saluto a Paride Batini, il console della Culmv, nella Sala Chiamata del porto: il simbolo di questa città, dove gente come Batini, che magari in qualche modo credeva, ma certo non praticava, nella chiesa di gente come "Gallo" trovava un interlocutore attento e, spesso, complice.
Andrea Gallo nasce a Genova il 18 luglio del 1926, in via Fillak al confine tra Sampierdarena e Certosa. Conosce la realtà dei salesiani, a lui piace quel tipo di vita dove si prega ma si agisce, così fa il noviziato a Varazze, prosegue a Roma il liceo e gli studi filosofici. Il primo luglio 1959 diventa sacerdote. Un anno dopo viene nominato cappellano della "Garaventa" una nave scuola di fama tremenda per la severità a bordo, per i ragazzi che vengono spediti in quel riformatorio e solo puniti, senza neppure tentare la strada del loro recupero. Don Andrea prova a cambiare metodo di educazione, lo lasciano fare per tre anni, poi lo spediscono a fare il cappellano del carcere a Capraia, e, due mesi dopo, torna a Genova, vice parroco al Carmine. E' il 1970 quando, su ordine del cardinal Siri, viene trasferito, perché quel giovane prete già usava un linguaggio diverso, già curava le sue anime, i parrocchiani, in modi inconsueti, parlava di droghe che «non erano solo hashish», perché esistono «le droghe del linguaggio che dichiarano un ragazzo di pochi mezzi inadatto agli studi». Non va bene, per la Chiesa conservatrice, non va bene don Andrea Gallo che provano già a definire "prete comunista". Così lo allontanano e Genova protesta. Sarà la prima di tante altre volte. A San Benedetto approda chiamato dal parroco di allora, don Federico Rebora, da lì non se ne andrà più. Sono gli anni del grande salto, della nascita della Comunità che si chiamerà "Comunità di San Benedetto al Porto" dove don Andrea realizzerà, passo dopo passo, il suo progetto. Per i dipendenti dalle droghe, per le donne che si guadagnano la vita vendendo il loro corpo. E poi per tutti "gli ultimi" che gli chiedono aiuto. Sono tanti, sempre di più, i rinforzi arrivano dalle famiglie, da chi dalla droga in qualche modo esce e vuol restituire l'aiuto al "don". Arrivano le donazioni, lui apre comunità in altre parti d'Italia, all'estero. E' il G8 che trasforma don Gallo in un'icona nazionale. Lui non fa niente di diverso dal suo solito, ma l'Italia, il mondo che guarda i tragici giorni di Genova 2001, non lo sa. Il "don" è al corteo dei migranti, e in tutti gli eventi che lasceranno una scia di sangue a Genova, con un ragazzo morto.
Diventerà un implacabile accusatore per i fatti della Diaz e di Bolzaneto. Lui spiegava: «Che cosa potevo fare? C'erano i miei ragazzi lì, c'erano tanti giovani ». E poi incominciava quelle sue strambe prediche dove Cristo si mescolava con l'uomo, i precetti di Dio d'improvviso combaciavano perfettamente con le regole della Chiesa. A metterle insieme ci pensava lui, don Gallo. Che non sarà mai sospeso a divinis. Eppure si schiera, in politica, sui diritti civili. Non trova niente di strano nel fatto che due omosessuali vogliano vivere insieme alla luce del sole, così come rivendica la storia del fratello comandante partigiano, l'antifascismo della sua cattolica famiglia, rivendica il suo schierarsi a sinistra. Lo tirano i tanti per la giacca, i Verdi, il Pd, Sel, lui lascia fare, dice sì a tutti, «perché come posso prendermela con chi difende l'ambiente o i poveri? i disadattati? », si giustifica. Nelle ultime elezioni politiche dà una mano, come dice lui, a Sel, il partito di Nichi Vendola che lo stima e gli telefona spesso, alle comunali di Genova, a sorpresa, si schiera al fianco di Marco Doria, si fa garante, lui prete cattolico dell'agnostico professore di economia, destinato a diventare sindaco. E' Andrea Gallo a convincere, a garantire, a trascinare gli animi. E, prima ancora, è al fianco di Claudio Burlando, nella seconda elezione in Regione, perché il "don" non ha paura di scegliere. O di criticare. La sinistra, soprattutto, che ha paura, «che non si occupa del lavoro, della gente che non ce la fa più», la sinistra che delude. Lo dice in Tv lo scrive sui quotidiani, lo appunta spesso nella "Buona Novella" la rubrica settimanale che teneva su Repubblica.
Il mezzo toscano sempre in bocca, il cappello a tesa larga, don Andrea Gallo ormai lo conoscono dappertutto: i media se lo contendono, arrivano a intervistarlo dal Giappone, dalla Svizzera, dagli Stati Uniti. Va in tv a parlare dei suoi libri: da "Prete di marciapiede" a "Angelicamente anarchico" da "Io cammino con gli ultimi" all'ultimo "In cammino con Francesco". Ognuno racconta e rispecchia un po' di don Andrea Gallo. Il sacerdote che, comunque, ha fede salda e mai titubante, il prete da marciapiede che lì, in mezzo alle strade del retroporto o nei vicoli, va a recuperare tante delle sue pecorelle smarrite perché senza casa, senza più speranza. Ancora, l'uomo che confesserà anche di aver provato l'amore in gioventù. E, su tutti, la sua scelta, ripetuta ogni giorno, di essere prete. Perché questo è stato davvero don Andrea Gallo. Un prete. Tutto il resto viene dopo. Mancherà ai suoi ragazzi, vivrà giorni turbolenti la sua Comunità priva di quel faro che era don Andrea. Mancherà a questa città, a Genova, che lui ha preso per mano, ha scosso, ha capito. Mancherà alla gente di strada, a chi lo avvicinava sapendo di non essere respinto. Mancherà a chi lo chiamava, al pomeriggio, verso le cinque. Magari solo per parlargli un po'. Andrea è tornato a casa, da quel Dio che ha sempre amato. Lo accoglierà, se esiste, a braccia aperte.