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Caso Paolo Scaroni: assolti otto celerini
Checchino Antonini
18 gennaio 2013

Sono stati assolti dal Tribunale di Verona gli otto poliziotti accusati di lesioni gravissime nei confronti del tifoso del Brescia Paolo Scaroni, ferito nel 2005 dopo una partita al Bentegodi, durante una carica a freddo sui binari della stazione. La sentenza è stata accolta con cori di disapprovazione da parte di decine di ultras bresciani assiepati fuori del tribunale, gli stessi amici che lo hanno sostenuto finora con iniziative anche clamorose come lo sciopero del tifo.
Uno dei poliziotti, che si trovava alla guida del pullman della ps, è stato assolto per non aver commesso il fatto, gli altri sette per insufficienza di prove. Un delitto impunito per via dell'impossibilità di identificare i celerini travisati in servizio di ordine pubblico e anche perché qualche collega degli imputati potrebbe aver tagliato i dieci minuti cruciali del filmato di quella sera. «E' una sentenza tartufesca, alla don Abbondio: il coraggio chi non ce l'ha non se lo dà - ha detto l'avvocato Alessandro Mainardi, legale di parte civile - il giudice ha inviato gli atti alla Procura della Repubblica per il taglio di 10 minuti nel filmato in cui il mio assistito viene massacrato di botte». «Quella è la prova regina - ha aggiunto Mainardi - ora mi chiedo: chi risponderà di questa manipolazione che ha sottratto una prova fondamentale?». Che sarebbe stata durissima era chiaro già al momento del rinvio a giudizio, due anni fa: «Se pensiamo a quanto accaduto a Genova al processo per il G8, quando ci si scontrò contro una reticenza scandalosa, penso che sarà durissima», aveva detto il legale.
«Dobbiamo andare avanti, non dobbiamo mollare», dice Paolo Scaroni dopo aver udito la sentenza. Trentasei anni, deve al 7/o reparto «Celere» di Bologna la sua invalidità del 100%. Suo padre, nel sentire il dispositivo, è scoppiato in lacrime.
I giornali del posto riferirono imbarazzati di una «vicenda intricata» ma fu una carica a freddo. «Finita la partita - scrisse Paolo Scaroni proprio su Liberazione - siamo stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o tensione. Dopo essermi recato al bar sottostante la stazione, stavo tornando con molta serenità al treno riservato a noi tifosi portando dell'acqua al resto della compagnia (era stata una giornata molto calda ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri tifosi erano già pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano pochi minuti ed i binari della stazione erano completamente deserti. Cosa alquanto strana ...Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato travolto da una carica di "alleggerimento" del reparto celere e picchiato a sangue, senza avere nemmeno la possibilità di ripararmi. Sottratto al pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle manganellate), sono entrato in coma nel giro di pochissimo e quasi morto. Dopo circa venti minuti sono stato caricato su un'ambulanza, osteggiata, più o meno velatamente, dallo stesso reparto che mi aveva aggredito e trasportato all'ospedale. Lì sono stato operato d'urgenza. Lì sono stato salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì ho passato alcuni mesi della mia nuova vita. Una vita d'inferno. Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d'animo che fatico ad immaginare, subiva pressioni e minacce affinché la mia vicenda mantenesse un basso profilo. Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la verità».
Il giovane di Castenedolo, allevatore di tori, non sarebbe mai tornato come prima. «Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza. Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto lontano. Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza». La procura aprì un fascicolo contro ignoti e le indagini portarono all'individuazione di otto agenti del reparto mobile di Bologna che quel giorno, insieme ai colleghi di Verona e di Padova, aveva l'incarico di mantenere l'ordine pubblico. Nel febbraio 2009 fu lo stesso gip a iscrivere gli otto nel registro degli indagati due anni dopo che la procura aveva chiesto l'archiviazione. Il pubblico ministero presentò ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte riconobbe al gip la possibilità di procedere. La procura nel mese di ottobre ha chiesto la seconda archiviazione. Nel 2010 l'ordine di formulare il capo di imputazione coatta.