Rete Invibili - Logo
Cefalonia, 69 anni dopo ci sarà un processo
Checchino Antonini
20 ottobre 2012

Ci sarà un processo, e inizierà il 19 dicembre per la strage di Cefalonia. Alfred Stork, sottufficiale della Wehrmacht, 89 anni, è stato rinviato a giudizio ieri dal Gup del tribunale militare di Roma, Giorgio Rolando, al termine dell'udienza preliminare. Stark è accusato di aver preso parte materialmente all'eccidio, il 27 settembre 1943, quando alla "casetta rossa" furono uccisi almeno 117 ufficiali italiani, prigionieri di guerra e appartenenti alla Divisione Acqui.

Il suo difensore, Marco Zaccaria, «condanna» quel che ha fatto Stark, ma solo dal «punto di vista umano, e come italiano», ma la linea difensiva sarà che «il caporale si è limitato ad eseguire, altrimenti sarebbe stato fucilato lui stesso». In base agli articoli 47 e 52 del Codice militare tedesco dell'epoca, aveva chiesto il proscioglimento «in quanto Stork ha obbedito a un ordine diretto del furher». Soddisfatto «per questo primo passaggio processuale», ilpm Marco De Paolis: «Speriamo di poter rendere un omaggio alla memoria dei nostri soldati caduti e di dare una risposta alle aspettative da lungo tempo attese da parte dei famigliari delle vittime».

Nell'aula delle udienze preliminari, c'erano anche alcuni familiari delle vittime. Stork e loro, probabilmente, non si guarderanno mai negli occhi. «E' un atto di giustizia. Serve ai giovani per far capire l'importanza della responsabilità personale: è giusto che ciascuno si assuma la responsabilità dei propri crimini, senza addebitarli ad altri. Per questo motivo mi sono costituita parte civile - spiega la signora Marcella, figlia del capitano Francesco De Negri, uno dei fucilati - gli ex nazisti a questi processi non si presentano mai - sottolinea all'Adnkronos - non accettano di essere processati. Non nutro rancore nei confronti di Alfred Stork, anche lui è una vittima, responsabile, della violenza nazista». De Negri ha in mente «ciò che è stato fatto in Sudafrica dopo l'apartheid. Sono disposta a perdonarlo se l'ex sottufficiale nazista si presentasse ed ammettesse le proprie responsabilità, o accettasse almeno una rogatoria internazionale, come è stato chiesto dalla Procura militare di Roma».

«Più che attribuire responsabilità penali, spero che questo processo porti alla ricostruzione della verità storica negata dalla magistratura tedesca. Dopo 70 anni i miei compagni morti a Cefalonia ne hanno tutto il diritto», aveva fatto sapere alla vigilia, Nicola Ruscigno, giovane sottotenente di complemento della Acqui, in quel drammatico settembre 1943 quando i militari italiani decisero di opporsi alla richiesta di consegnare le armi da parte degli ex alleati. 91 anni, è l'ultimo ufficiale in vita della Divisione Acqui. Col sostegno del figlio Costantino, Ruscigno qualche anno fa ha dato vita alla Fondazione Europea Cefalonia Corfù 1941-1944, ed ha scritto un libro, «Patria senza Stato», nel quale ricostruisce quella tragica esperienza. Di Stork ricorda che «Lui stesso ha dichiarato di aver fatto parte del plotone di esecuzione. Io ero l'ultimo militare italiano che i tedeschi avrebbero dovuto passare per le armi, l'ufficiale più giovane della Divisione. Ero nell'ultimo gruppo che andava a morire».
A Cefalonia e Corfu' 16 mila soldati italiani appartenenti alla 33^ divisione da montagna "Acqui" combatterono contro i tedeschi, dopo l'8 settembre. A Cefalonia avvenne la più grande eliminazione di massa di prigionieri di guerra della seconda guerra mondiale.

Solo nel 2000 venne fuori un vero e proprio "registro degli orrori", occultato per anni nella sede della procura generale militare di Roma, in cui sono inventariati i tantissimi crimini, mai perseguiti fino ad allora, commessi dai nazifascisti a danno dei cittadini italiani. E' la storia dell'armadio della vergogna per il quale migliaia di vittime italiane delle stragi nazifasciste non hanno avuto ancora giustizia perchè ciò non conveniva politicamente. E si è preferito insabbiare. Ne avrebbero dovuto rispondere tutti i procuratori generali militari dal 1974 in poi, secondo il magistrato che lo scoprì, Antonino Intelisano. In quell'armadio erano stati occultati 695 fascicoli: 280 a carico di ignoti nazisti e fascisti, gli altri 415 a carico di militari italiani e tedeschi identificati. Fascicoli che solo nel '94 furono inviati alle magistrature competenti che quasi sempre, visto il lungo tempo passato, furono costrette a archiviare. Ma tutte le stragi sono inventariate nel registro degli orrori, anch'esso nascosto dentro l'armadio.

Anche per l'eccidio di Cefalonia il registro indica i responsabili, ma quando i parenti delle vittime sollecitavano inchieste e processi due ministri del primo governo Segni, Gaetano Martino e Paolo Emilio Taviani, si scambiarono lettere per convenire che non era il caso di compromettere la rinascita della Wehrmacht. Ma chi fu a dare l'ordine ai pg militari Umberto Borsari, Arrigo Mirabella ed Enrico Santacroce, di girare quell'armadio con le ante appiccicate al muro? Esiste un testimone di quell'epoca, Giulio Andreotti: «deve sapere, può dare un nome ai responsabili politici di quella giustizia negata», scrisse l'Espresso quando rivelò al mondo l'armadio della vergogna.