Ci sarà un processo per l'omicidio colposo di Michele Ferrulli. L'avviso di conclusione indagini preliminari è stato appena recapitato ai poliziotti che la sera del 30 giugno 2011 giunsero in Via Varsavia, a Milano, a bordo di una volante. Qualcuno era infastidito dal volume della musica che proveniva da un furgone. Qui, secondo il pm, «cagionavano la morte di Ferrulli, agendo in cooperazione, con negligenza imprudenza e imperizia consistite nell'ingaggiare una colluttazione eccedendo i limiti del legittimo intervento percuotendo ripetutamente la persona offesa in diverse parti del corpo pur essendo in evidente superiorità numerica e continuando a colpirla anche attraverso l'uso di corpi contundenti quando la stessa era immobilizzata a terra in posizione prona, non era in grado ed invocava aiuto». Sembra di rileggere, e i reati contestati sono molto simili, le fasi che portarono all'uccisione di Federico Aldrovandi sei anni prima in un'alba ferrarese di fine settembre. La scena di quattro giovani uomini (hanno dai 30 ai 34 anni) che si accaniscono con furia su uomo solo, disarmato e più anziano. Ferrulli aveva cinquantuno anni. Finché, secondo l'ordinanza del pm, sarebbe giunta la morte come conseguenza del violento attacco ipertensivo dovuto allo stress emotivo del contenimento e alle percosse. Una «tempesta emotiva» documentata anche in un video girato da un testimone col suo telefonino.
E il giorno dopo, gli indagati, avrebbero anche redatto un rapporto che tendeva a falsificare i fatti. Scrissero che «il gruppetto» sarebbe caduto per sbaglio sull'uomo nel tentativo di ammanettarlo. Invece era a terra, bloccato. E loro continuavano a menare. E' l'ennesimo capitolo di quella che ormai si tende a definire "malapolizia", la produzione di violenze da parte di cittadini in divisa seguita dal tentativo di falsificazione delle prove e dal silenzio assordante della politica e del sindacalismo di polizia che anzi si schiera spesso aprioristicamente a fianco dei colleghi. Da Genova a Ferrara alla Val di Susa.