Milano sa essere strana. E anche la sinistra milanese, da quella istituzionale a quella di movimento, sa esserlo. Proviamo ad immaginarci cosa sarebbe accaduto un anno fa, ai tempi dell'amministrazione Moratti e De Corato, se un vigile urbano, appartenente ad un nucleo speciale, avesse ucciso con un colpo di pistola alla schiena un giovane straniero disarmato. Non c'è alcun dubbio che si sarebbe levato un moto di indignazione e, forse, avremmo pure organizzato una manifestazione di piazza.
Quindi, non è solo lecito, ma persino doveroso domandarci come mai non sia successo nulla di tutto ciò oggi, quando purtroppo il 29enne cileno Marcelo Valentino Gomez Cortes è stato davvero ucciso dal vigile, Alessandro Amigoni. Già, perché è scattata una sorta di rimozione collettiva in tempo reale, che ha impedito persino che si manifestasse un po' di pietà e solidarietà umana. E così, nulla di sorprendente, ahinoi, che l'altro giorno la messa funebre per Marcelo, prima del rimpatrio del suo corpo in Cile, si sia svolta nella disattenzione generale e alla presenza di sole trenta persone, compresi la compagna e i due figli piccoli.
Una freddezza che non si deve certo all'incertezza circa la dinamica dei fatti, visto che quello che si sapeva sin dai primi giorni era ampiamente sufficiente per indignarsi. Insomma, quel 13 febbraio al Parco Lambro l'agente Amigoni, indagato per "omicidio volontario", ha sparato da distanza ravvicinata, uccidendo con un colpo alla schiena Gomez Cortes. Non solo il giovane era disarmato, ma i tre colleghi di Amigoni hanno dichiarato che loro non avevano avvertito alcuna situazione di pericolo. In altre parole, sarà ovviamente l'azione giudiziaria ad accertare le responsabilità penali, ma una cosa è chiara oltre ogni ragionevole dubbio: quanto accaduto non può trovare giustificazioni.
Inoltre, la rimozione non si spiega nemmeno con quella reticenza politica che spesso e volentieri scatta quando a governare siamo "noi" e non "loro". Già, perché il Sindaco Pisapia in questa vicenda non ha proprio alcuna responsabilità. Anzi, sta partendo proprio in questi giorni la riforma che valorizza la figura del vigile di quartiere, che è poi l'esatto contrario di quei nuclei centralizzati e militarizzati dei quali Amigoni faceva parte.
Infine, che nessuno tiri in ballo l'omicidio di Nicolò Savarino, il vigile milanese ucciso il 12 gennaio scorso, perché non c'entra proprio nulla. Può spiegare lo stato d'animo dei vigili milanesi, ma non può certamente giustificare lo sparo che ha ammazzato Marcelo.
C'è rabbia nella comunità cilena di Milano, per quello che è successo, ma anche per com'è stato trattato l'omicidio. E qui il problema è tutto nostro, cioè di noi della sinistra milanese, di quelli che si erano indignati ai tempi dell'amministrazione delle destre, quando i nuclei speciali facevano rastrellamenti anti-immigrati sui mezzi pubblici o sgomberavano campi rom vestiti da celerini.
So bene che a Milano non vogliamo più sentir parlare di quel passato che abbiamo archiviato nella primavera scorsa, ma che l'omicidio di Marcelo ci ricorda con brutalità. Ma non è girando la testa dall'altra parte che costruiamo il futuro, anzi, semmai rischiamo di riaprire le porte al passato.
Riformare la Polizia Locale di Milano e chiudere con le squadre di decoratiana memoria è possibile, anche perché lo vuole molta parte del vigili urbani. Ma il silenzio e la disattenzione non aiutano per nulla. E poi, diciamocelo, quella mancanza di umanità ci dovrebbe far vergognare un po'.