Non c'è un mazzo di fiori sul luogo del delitto. Un lumino del cimitero, un pelouche per i suoi bambini. E dire che non capita tutti i giorni a Milano, una delle città più sicure del mondo, che un vigile spari nel petto di un ragazzo disarmato che stava solo scappando (forse l'hanno addirittura ammazzato con un colpo spalle). Eppure non c'è un cane in tutta Milano che si senta in dovere di stringersi attorno a qualcuno o a qualcosa, anche per finta, magari alla comunità cilena, o agli stranieri tutti, che a naso oggi dovrebbero sentirsi un po' più nervosi dei vigili urbani, che se non altro girano armati.
Non si sa quale avvocato difenderà la famiglia di Marcelo Valentino Gomez Cortes, 28 anni. Aveva una compagna e due bambini piccoli, uno di 5 e uno di 7 anni. Il sindaco Giuliano Pisapia, un mese fa, quando il povero vigile Niccolò Savarino morì travolto da un Suv guidato da un altro criminale, aveva saputo trovare le parole giuste e si era detto disponibile ad assistere legalmente la famiglia Savarino. Per questo omicidio, invece, solo una frase di rito che sostanzialmente non dice niente, la riportiamo per intero: «Quanto accaduto ieri in via Orbetello mi ha colpito profondamente. Ripongo la massima fiducia nella magistratura che dovrà accertare la reale dinamica dei fatti, con l'auspicio che questo possa avvenire in tempi ragionevolmente brevi. Credo che attendere l'esito delle indagini sia nell'interesse di tutti, delle persone coinvolte, dei familiari della vittima e dell'intero Corpo di Polizia Locale che svolge un lavoro prezioso per la sicurezza dei milanesi, anche pagando un prezzo altissimo come nel caso di Nicolò Savarino».
Anche l'ultima vittima comunque aveva un nome, Marcelo Valentino Gomez Cortes. Forse serve a poco nominarlo, ma non bisogna dimenticare che anche lui ha pagato un prezzo abbastanza alto. Un morto ammazzato è un morto ammazzato, e se fosse un ladro di polli - «piccoli precedenti» dicono le agenzie - la sostanza non cambierebbe. E' ragionevole riporre la massima fiducia nella magistratura, anche se questa l'avevamo già sentita, e tutti vogliono sapere come si sono svolti i fatti. A dire il vero, dopo l'assassinio, si è già materializzata qualche ipotesi di un certo peso.
Si sa già, per esempio, che un dipendente dell'amministrazione comunale - il vigile Alessandro Amigoni, indagato per omicidio volontario - amava farsi ritrarre su facebook con un mitragliatore in mano. Era appassionato di armi. Un tipo mite. Quindi l'unica buona notizia per i milanesi è che da oggi c'è in giro un uomo pericoloso in meno - lo hanno destinato a un ufficio amministrativo! - e dovrebbe essere contento anche l'assessore alla sicurezza Granelli. Si sa poi che, forse per caso - lasciamo indagare la magistratura - Alessandro Amigoni faceva parte di quei nuclei speciali tutt'ora operativi - chissà come mai - che il vice sindaco De Corato usava a suo piacimento per rastrellamenti contro rom e abusivi.
Altri dettagli utili? Il comandante dei vigili urbani, l'intoccabile Tullio Mastrangelo, fino a ieri teorizzava l'uso dell'arma per legittima difesa. Oggi tace. Forse perché Marcelo Valentino Gomez Cortes era disarmato. C'è poi un tale che si è fatto intervistare da Sky Tg 24. O è un mitomane, oppure ha ricostruito la dinamica di una vera e propria esecuzione: «Io ho visto, i ragazzi correvano, non erano armati, non avevano niente e quello che scappava diceva non sparate, non sparate».
Ci vuole altro per chiedere le dimissioni del comandante di piazza Beccaria e per sciogliere gli «squadroncini» dei vigili urbani, l'eredità più odiosa di un ventennio di delirio securitario? Tutto tace. Ma ci sono silenzi che fanno ancora più male. Sono i «nostri». Nessuno - e dire che di belle parole per giuste cause ne sprechiamo a quintalate - in due giorni ha sentito il bisogno di rivolgere lo straccio di un pensiero a Marcelo Valentino Gomez Cortes. Non sappiamo ancora che faccia aveva, magari per un murale. A sinistra, ormai, abbiamo dimenticato anche i fondamentali.