Genova, dieci anni dopo, è davanti a noi. Non è morta in piazza Alimonda, non è finita prigioniera nella discesa agli inferi della Diaz e di Bolzaneto. Genova vive e pulsa, come il corteo colorato che ieri ha riempito il suo lungomare. Genova parla al mondo, ha lo sguardo dritto e aperto nel futuro. "Loro la crisi, Noi la speranza". Lo slogan scelto per il decennale è un manifesto politico. Come lo era il "Voi G8, Noi 6 miliardi".
Il pianeta è ad un bivio: il capitalismo nel suo fallimento può trascinare con sé la natura e l'intera umanità. Per questo è in campo l'alternativa. Che rompe i tabù monetari, inizia ad osare dire cose che ai politologi accreditati dalla stampa borghese sembrano eresie. Come il fatto che il debito non si paga. Che nega ogni credibilità ai piani di salvataggio elaborati ed imposti da una triade micidiale e ademocratica composta da Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Commissione Europea. Non c'è solo la casta della politica - sempre di più evocata per scaricare su di essa la rabbia popolare - ci sono soprattutto le caste dei banchieri e degli speculatori finanziari, dei guardiani di Maastricht e dei padroni. Le manovre finanziarie servono a salvare i loro loschi affari, mentre comprimono fino a cancellarli tutti i diritti sociali.
All'Europa Spa non intendiamo obbedire. E' questo il senso profondo della totalità dei forum che si sono svolti in questi giorni nel capoluogo ligure. Non ci stiamo a farci massacrare da finanziarie dettate dall'alto e imposte a tutti i popoli. A Genova, sia pur in modo ancora non organico, si è costruita un'agenda di lotta che prova a riconnettere quelle già esistenti nel nostro continente e dargli un nemico e una piattaforma comune. Sta crescendo infatti la consapevolezza che l'alternanza al governo di conservatori o pseudosocialisti non risolve i problemi, perché entrambi sono soldati obbedienti dei tecnocratici di Bruxelles.
"Il miracolo" con cui Napolitano ha salutato l'approvazione in tempi record di una manovra economica classista e spietata, appare la dimostrazione di un Palazzo ormai irrecuperabile alla causa dell'umanità. Per questo deve farsi largo una vera alternativa. Come quella degli Indignados, che ci propongono una mobilitazione simultanea in Europa per il prossimo 15 di ottobre. Come i metalmeccanici della Fiom, i precari della scuola, gli studenti, le donne che riprendono parola. Come i beni comuni che sempre più divengono la stella polare dei nuovi diritti su cui fondare una nuova idea del pubblico.
Come il tema della democrazia oggi riproposta nella sua concezione originaria e più larga: partecipata, dal basso, che restituisce potere decisionale alle comunità e ai lavoratori.
Per questo Genova è davanti a noi anche se non accettiamo colpi di spugna sul passato. Come quello di chi oggi dice che non è importante che De Gennaro e soci siano sospesi e dimessi dai loro incarichi. Finché avremo fiato, grideremo in ogni dove che i responsabili politici ed i mandanti morali delle torture sui manifestanti e dell'omicidio di Carlo Giuliani devono essere allontanati dai loro incarichi. Che finché rimarranno nelle loro funzioni è l'intera democrazia italiana ad essere messa sotto scacco. Perché chi garantisce l'impunità per i fatti del 2001 vuole usare lo spettro di Genova per criminalizzare e colpire le lotte di oggi e quelle di domani. Come in Val di Susa dove sono arrivati a dispiegare gli stessi militari utilizzati nello scenario di guerra afgano. Era dai tempi dei Savoia che l'esercito non veniva usato per occupare militarmente territori interni allo Stato.
Ma l'arroganza del potere è anche la dimostrazione della sua debolezza. Non sono riusciti a fermarlo, il movimento di Genova. Ha cambiato pelle, scelto percorsi diversi, ma ha seminato dignità e lotte in ogni angolo della vita civile. E' ora che riprenda anche la sua vocazione internazionale, il suo abbattere le frontiere e unire i popoli. Perché davanti alla loro crisi l'umanità ha diritto ad una speranza.