Una fiaccolata con un percorso più lungo del solito, da piazza De Ferrari alla scuola Diaz, ha attraversato ieri sera la città. Un serpente che ha toccato anche piazza Alimonda e rievocato a distanza di dieci anni la notte cilena, «la macelleria messicana» come ebbe a definirla un dirigente di polizia nella prima deposizione in procura (Michelangelo Fournier). Insomma l'assalto alla scuola del Genoa social forum nella notte tra il 21 e il 22 luglio, dove per perquisire un centinaio di persone e trarle in arresto, la polizia italiana, coadiuvata dai carabinieri, fece 63 feriti gravi e ridusse in coma l'inglese Mark Covell. Oltre a raccontare un mucchio di bugie, dalle ferite pregresse dei manifestanti che uscivano in barella al falso delle molotov e di un agente che sarebbe stato accoltellato da un manifestante mai catturato. Quell'operazione impedì ai magistrati e agli investigatori di ottenere qualsiasi collaborazione dalle polizie europee per trovare gli autori di atti di danneggiamento e così il processo ai 25 accusati di devastazione e saccheggio si restrinse praticamente a soli italiani.
Lo strappo di fiducia nelle istituzioni di un paese democratico non si è ricucito. «Il problema non si risolve con la caduta di Berlusconi - ha commentato ieri una spagnola della Diaz, poi a Bolzaneto, Mina Zapatero - perché è endemico e riguarda l'istituto della polizia».
Il problema della gestione dell'ordine pubblico da allora è insoluto. Anzi dimenticato. Nel dibattito «Genova luglio 2010, io non dimentico», tenutosi ieri a Palazzo Ducale,al quale sono intervenuti testimoni, avvocati e giornalisti, il sociologo Salvatore Palidda ha ricordato che «si è parlato di processo di democratizzazione delle forze di polizia fino all'inizio degli anni '90. Poi basta e sono stati i governi di centrosinistra a stringere la morsa e manovrare le paure».
Quella notte ci ha lasciato una serie infinita di dubbi. Ad esempio come fa un giudice a fidarsi di un poliziotto indagato o condannato, col quale dovrebbe lavorare. Tema d'attualità: «Ricordiamo che nel nostro Paese ci sono poliziotti condannati che restano al loro posto» ha detto uno degli avvocati genovesi facendo riferimento a casi recenti. Un giurista di vaglia come Livio Pepino, prima membro del Csm e presidente di Magistratura democratica, una soluzione ce l'ha: «Il problema sul rapporto di fiducia tra magistrato e polizia resta insoluto finché non si stabilisce una distinzione tra polizia giudiziaria e polizia che si occupa di ordine pubblico». Intanto l'appello «Operazione trasparenza» sulle forze dell'ordine lanciato in rete da Amnesty international è stato firmato in 40 ore da oltre 3 mila persone.
La presidente del comitato Verità e giustizia, Enrica Bartesaghi, che ha seguito i processi Diaz e Bolzaneto nei quali era coinvolta anche la figlia Sara in quanto presente nella scuola del levante genovese quella notte, ha commentato: «Nelle aule che ho frequentato tanto in questi anni (confesso che non avevo mai messo piede prima in un tribunale) leggo che la legge è uguale per tutti. Oggi dopo i processi in appello penso che per qualcuno è un po' più uguale». Bartesaghi insiste su quattro richieste: abolizione dei gas Cs, abolizione delle armi da fuoco nell'ordine pubblico, riconoscimento del reato di tortura oggi in Italia e l'introduzione di un numero identificativo per gli agenti.