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«G8, nessuno ha chiesto scusa» Sbotta il capo della procura
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 10 luglio 2011
10 luglio 2011

«Dopo quanto avvenuto alla Diaz e Bolzaneto lo Stato avrebbe dovuto farsene carico e qualcuno avrebbe dovuto dimettersi. Oltre alla responsabilità personale, esiste anche quella istituzionale. Davanti a carriere che progrediscono normalmente, mi viene da pensare che ci troviamo di fronte ad un ordinamento autoreferenziale». C'è un abisso tra le parole di ieri del procuratore generale di Genova al quotidiano La Repubblica e la messinscena del suo predecessore che, all'indomani dell'omicidio di Carlo Giuliani, si fece immortalare tra due carabinieri e all'ombra del tricolore per anticipare, in sostanza, l'archiviazione di quel caso. «Lo riteniamo un primo passo - commenta a Liberazione Rita Lavaggi, portavoce del coordinamento "Verso Genova 2011", promotore degli eventi del decennale - che qualcuno ritenga che sia ora di fare i conti con la verità e la memoria, e prendere atto che niente e nessuno possa cambiare i fatti di quel luglio. Questo non toglie che le ferite sono ancora da curare per le vittime, i testimoni e un'intera città».
Dopo mezzo secolo di magistratura, Luciano Di Noto, a un mese dalla pensione, si chiede anche «che polizia abbiamo». «Una commissione parlamentare d'inchiesta avrebbe potuto capire quali fossero le direttive impartite. Perché in piazza, a caldo, la situazione può sfuggire di mano, ma non in un'operazione oppure in un carcere, questo no. Gli ufficiali devono evitare che la truppa si abbandoni al saccheggio». Si sarebbe aspettato, Di Noto, «che qualcuno chiedesse scusa e che chi aveva alte responsabilità si dimettesse. Ma le sembra possibile - dice al giudiziarista genovese di Repubblica - che dopo dieci anni non si è riusciti a capire chi fosse uno dei firmatari dei verbali di arresto della Diaz?». La risposta indiretta al procuratore generale può essere ricavata da un articolo dell'house organ del Viminale, Polizia moderna che, a dieci anni da Diaz e Bolzaneto, e a poche ore dalla battaglia di Chiomonte, giura che «la gestione dell'ordine pubblico è stata adeguata alle mutate esigenze dettate dai nuovi scenari socio-politici. Infatti non esistono più zone rosse, l'esibizione della forza non come deterrente, ma come anticipo di azione repressiva è fuori dalla filosofia del Viminale». Non si capisce dove l'articolista prenda lo spunto per sostenere che «gli avvenimenti di allora infatti hanno provocato una profonda riflessione nei vertici del Viminale». La linea del Viminale, alla vigilia del decennale, è la stessa che allora cercò di ridurre le mattanze a «sfasature nella catena di comando», a «iniziative individuali».
Un altro segnale pessimo (pochi giorni dopo la promozione di Mortola, condannato alla Diaz) è arrivato dalla Asl 3 del capoluogo ligure che ha voluto premiare il medico di Marassi quello che, per i giudici della Corte d'Appello, è uno dei responsabili di quel «delirio di violenze, sopraffazioni, umiliazioni» che fu la caserma prigione di Bolzaneto durante il G8 del 2001. Sebbene la prescrizione lo abbia salvato sul piano penale è stato ritenuto civilmente responsabile per quegli abusi ma quando la direzione generale dell'Asl 3 ha dovuto stilare top ten dei dirigenti medici più meritevoli Toccafondi c'è e nella colonna dei buoni. Con tanto di premio, "retribuzione di risultato", 4548,79 euro. Giusto ricordare la sentenza quando scrive che «anziché lenire la sofferenza delle vittime di altri reati, l'aggravò, agendo con particolare crudeltà su chi inerme e ferito, non era in grado di opporre alcuna difesa, subendo in profondità sia il danno fisico, che determina il dolore, sia quello psicologico dell´umiliazione causata dal riso dei suoi aguzzini»
Il "Dottor Mimetica" è stato condannato pure ad un anno per l'omicidio colposo di una detenuta sudamericana rinchiusa nel 2002 carcere di Pontedecimo, uccisa dalla diagnosi tardiva di una malattia infettiva senza che l'Ordine dei Medici sia mai intervenuto.