Strano paese, l'Italia: dove la storia recente è costellata di tragedie e misteri in cui spesso politica e magistratura non hanno saputo, voluto o potuto fare chiarezza.
A fronte di questa inerzia delle istituzioni, nel tempo sono nate altre forme di risposta. La denuncia delle canzoni d'autore, la testarda ricerca del giornalismo (raramente quello "classico", più frequentemente quello alternativo della cosiddetta "controinformazione"), la ferma azione civile dei comitati delle vittime.
Nel suo ultimo libro Daniele Biacchessi indaga un'altra forma espressiva che fonde arte, comunicazione e denuncia: il cosiddetto Teatro Civile (da cui l'autore deriva il titolo del proprio lavoro, Edizione VerdeNero, 16 euro). Un tipo di rappresentazione teatrale, di cui lo stesso Biacchessi è protagonista attivo, che ha avuto uno sviluppo costante negli ultimi anni, con riscontri crescenti in termini di critica e pubblico. Difficile determinare una data di origine del Teatro civile: probabilmente ha ragione Daniele nell'identificare questa data nel 1993 e la sua consacrazione definitiva nel 9 ottobre 1997 (rispettivamente: nascita del progetto Vajont, 9 ottobre '63 di Marco Paolini, e sua trasmissione su Rai2).
Quelli di cui ci parla Biacchessi sono spettacoli poveri a livello scenico, ma in cui l'ispirazione si fonde con un doveroso omaggio alle vittime e con un'altrettanta doverosa esigenza, da parte del pubblico, di una narrazione che risarcisca, in certa misura, le vittime stesse, contribuendo alla formazione di un'identità collettiva, di una memoria comune in cui riconoscersi.
Da sottolineare è il livello di contaminazioni fra generi che il teatro civile ha dimostrato di saper realizzare. Pensiamo ai percorsi speculari dei già citati Biacchessi e Paolini: il primo "nato" giornalista e oggi appassionata anima di questa forma narrativa; il secondo da sempre "narratore puro", ma che ha presentato tempo fa alcuni suoi monologhi nei prologhi di Report, non a caso la trasmissione televisiva che più si avvicina alla narrazione teatrale di denuncia. Ma significativa, in questo senso, è anche la collaborazione instaurata fra molti attori e musicisti come Fusiello, Gang, Mercanti di Liquore, Yo Yo Mundi, Rovelli, Lega e molti altri.
Il libro di Daniele è il giusto omaggio a un movimento artistico che fonde nomi "storici" e nuovi (Paolini, Fo, Rossi, Sarti, Paiusco, Celestini, Cavalli, Pesce, Biagiarelli, Tommasi e altri ancora) e a una memoria che spazia dal già citato Vajont ai morti sul lavoro, passando attraverso la tragedia ecologica di Seveso, le vittime del Petrolchimico di Marghera, le fiamme della Thyssenkrupp, le stragi italiane, il rogo della Moby Prince, gli eccidi nazifascisti, il tributo di sangue di giornalisti come Cutuli, Alpi e Ciriello, il delitto Moro e via dicendo.
Il teatro civile è molte cose, anche a seconda dell'inclinazione del protagonista e narratore. Può essere informazione alternativa, testimonianza militante, presidio di una memoria sempre a rischio (in un Paese che ha ben poca considerazione della propria storia). E' anche, e soprattutto, racconto. Nella consapevolezza che una storia continua ad avere un senso e una vita propria fino a quando trova voci che la raccontano e orecchie disposte ad ascoltarla, fino a quando esisteranno narratori che ci stimolano alla consapevolezza, che risvegliano quella capacità - che spesso ci sembra sopita - di provare indignazione di fronte alle ingiustizie. Proprio per questo il nuovo libro di Biacchessi è una testimonianza preziosa.