«Daje Stefano!»: il grido dei ragazzi, gli amici in attesa all'uscita del carcere di Regina Coeli, alle Mantellate, ha salutato ieri sera la liberazione di Stefano Gugliotta, l'ennesima vittima dell'arbitrio di polizia e di Stato in Italia. Una liberazione annunciata poco prima dalla decisione del giudice delle indagini preliminari, che ha accolto l'istanza di revoca delle misure cautelari per il giovane 25enne prima pestato dagli agenti il 5 maggio sera dopo Roma-Inter, senza nemmeno essere un tifoso della Roma o dell'Inter e ancor peggio per essersi trovato semplicemente sulla strada di quegli agenti, invasati nella "guerra" con gli ultras, andando al bar in motorino da casa sua al Flaminio, vicino allo stadio. E finito subito in galera, arrestato per «violenza», «resistenza» e «oltraggio»: a «pubblico ufficiale», naturalmente. In carcere con due denti in meno, punti di sutura in testa per una ferita profonda, contusioni da manganello su tutto il corpo. Nemmeno in infermeria, ma in una cella di Regina Coeli, dove l'altro ieri aveva iniziato per disperazione uno sciopero della fame. Visitato per tre giorni da vari parlamentari, dopo la denuncia della famiglia e la vastissima diffusione in rete, quindi anche sui media mainstream, del video che l'ha testimoniato inequivocabilmente.
Una liberazione, quella di ieri, arrivata dunque molto tardi. Troppo tardi. Dopo una settimana di carcerazione paradossale: una vittima trattata da reo. La vittima della pericolosità sociale di comportamenti arbitrari da parte di pubblici ufficiali delle forze dell'ordine, finita sotto il rigore di «esigenze cautelari» che proprio sul pericolo di «reiterazione del reato» facevano leva. La stessa Procura, insomma, ha dovuto in qualche modo contraddirsi: dopo un incontro con gli investigatori, l'aggiunto Pietro Saviotti e il sostituto Francesco Polino hanno ribadito l'accusa di «resistenza» ma hanno notificato l'insussistenza delle esigenze cautelari. E, per sanare la contraddizione, hanno messo nero su bianco la verità, a quanto pare: perché i magistrati della Procura scrivono nella richiesta di scarcerazione poi accettata dal gip Aldo Morgigni, che Stefano Gugliotta è «stato vittima di un atto arbitrario». Dunque, sì: Stefano ha cercato di resistere, ma legittimamente, ad un sopruso tanto peggiore perché perpetrato da "tutori dell'ordine".
Adesso la verità è agli atti, in tal modo, del potere giudiziario. Ed è un bel problema per il potere pubblico in generale. Dal momento che il potere politico ha parlato con l'obliquità dei ministri Maroni e Vito, che non hanno mai ammesso in questi giorni l'evidenza e tanto meno adottato una condotta che assumendo la verità dell'ennesimo episodio di arbitrio potesse aprire qualche spiraglio nel muro di intangibilità di comportamenti simili. Casomai, hanno alzato il tiro contro «processi sommari alle forze dell'ordine». O hanno cercato, come ieri appunto Vito in Parlamento, dei rapporti col quale è titolare di dicastero, di mettere in discussione la figura della vittima, pur essendo Stefano Gugliotta perfettamente incensurato.
Se una Procura come quella di Roma, che pure nel pomeriggio di ieri l'ha trasmesso allo stesso ministero degli Interni l'atto proprio in vista del dibattito parlamentare, deposita un documento di quel genere, se adesso sotto indagine per violenza è almeno un agente (peraltro "veterano") del reparto mobile, la ferita lasciata aperta dal potere politico e dalla fortificazione del Viminale e dei suoi apparati appare ancora più sanguinante. Già, perché Vito è riuscito ieri ad informare i deputati del giudizio della Procura sulla «reazione ad un atto arbitrario di un pubblico ufficiale» da parte di Stefano, dicendo che il Viminale «si costituirà parte civile» se «venissero accertate al termine dell'indagine responsabilità penali nei confronti di uno o più appartenenti alle forze dell'ordine»; ma accompagnando il tutto con richiami a «denunce e segnalazioni per rapina, lesioni personali, guida in stato di ebbrezza e per uso di droga» a carico di Stefano stesso. Che carichi, tantomeno pendenti, però non sono: non c'è bisogno di commenti.
C'è invece da dire che casi del genere pullulano. E che uno nuovo, sempre in ordine alla gestione dell'«ordine pubblico» intorno agli stadi, come ci segnala il nostro collega Checchino Antonini è stato denunciato da un'ulteriore vittima, Ilario Marmo cronista sportivo di battipagliaonline.com , all'Osservatorio contro la repressione del Prc: il 25 maggio del 2008 Marmo fu pestato negli spogliatoi dello stadio di Praia a Mare, travolto dalla cariche, ritrovandosi accusato di lesioni a 7 carabinieri e con 5 anni di Daspo.