Due cose Valerio Fioravanti ha fatto in ventitre anni di vita: recitare e uccidere. Quindi vent'anni li ha trascorsi come detenuto per aver accumulato otto ergastoli scesi poi a sei, quattro in semilibertà, cinque in libertà condizionale. Ora leggi ipergarantiste e gruppi di pressione alla "Nessuno tocchi Caino" lo rendono uomo libero nonostante i 93 morti che gravano sul suo sguardo sempre vacuo, come se recitasse ancora da bambinetto appena un poco discolo nella serie televisiva che lo rese celebre in un anno celebre. Per allontanare da sé e dalla moglie Francesca Mambro, come lui militante neofascista, la condanna sulla strage di Bologna Fioravanti ripropone copioni già recitati: l'ipotesi, rimasta sempre solo fantasia d'una presunta strage palestinese che lo stesso ex Presidente Cossiga aveva lanciato tempo addietro, come ha lanciato decine di depistagli utili ad alzare polveroni sugli anni dello stragismo di Stato e neofascista che lo hanno visto coinvolto in qualità di Ministro. Questa storia è priva di dati e prove, avanza il sospetto d'una vendetta del Fplp verso il nostro Paese che aveva arrestato un suo esponente (Azeh Saleh) intento a trasportare assieme a due militanti italiani dei lanciamissili da inviare in Libano.
La congettura non regge perché secondo meticolose perizie effettuate il tipo di esplosivo usato a Bologna era composto da tritolo militare. Il Fioravanti ammorbidito che ora si dichiara "uomo di destra", come ricorda su Liberazione Saverio Ferrari, sposa la tesi di altri neofascisti, in primis Marco Affaticato che sulla rivista d'un'altra destra ex eversiva e poi ministeriale (quella degli Alemanno e Storace) parlò del terrorista venezuelano Carlos a capo d'una cellula palestinese (sic) responsabili dell'attentato del 2 agosto 1980. Il tutto per Affaticato era scritto in un documento della Stasi, peccato che quel documento risultò semplicemente inesistente. Si può presumere che all'epoca delle sue "rivelazioni" Affaticato, ordinovista e informatore di Cia e Servizi nostrani, spacciasse dichiarazioni a effetto che potessero concedergli benefici e sconti giudiziari. Ma la vicenda dell'eversione politica e assassina di Fioravanti e Mambro, potrebbe anche prescindere dall'orrenda strage della stazione. La mai pentita coppia neofascista inanella una serie terribile di omicidi politici, fra l'altro tutti ammessi, che una giustizia sana gli farebbe scontare col carcere a vita. L'ergastolo appunto.
Fioravanti assassinò nel 1978 Roberto Scialabba, l'anno seguente sfiorò la strage con gli assalti a Radio Città Futura (fuoco e mitragliate) e a una sede romana del Pci (bombe a mano e colpi di pistola). Uccise Antonio Leandri scambiandolo per l'avvocato che aveva fatto arrestare l'ordinovista Concutelli. Nell'80 colpì a morte l'agente Arnesano quindi il sostituto procuratore Amato. Poi fu la volta del camerata Mangiameli punito per faide interne. Nell'81 stroncò i carabinieri Codotto e Maronese. La compagna di omicidi spesso sparava al suo fianco per questo vennero condannati ad altrettanti ergastoli. Ed ecco che nella storia giudiziaria e detentiva di Fioravanti si profilano oltre ai benefìci di leggi sempre più morbide la posizione dell'associazione vicina ai radicali, presso cui dal '99 Fioravanti presta servizio in regime di semilibertà. L'associazione "Nessuno tocchi Caino" per bocca di suoi esponenti sostiene che una pena detentiva di trent'anni equivale a un ergastolo. Più d'uno in pubblici dibattiti faceva notare che questo non è vero, vale solo se si è avanti con l'età. L'esempio di Fioravanti calza a pennello. In prigione a poco più di vent'anni eccolo dopo circa trenta poter proseguire la vita. Con la beffa per familiari delle vittime e società civile d'un totale reintegro in ogni ruolo anche sociale e politico.
Se pure fosse vera - e non lo è - la tesi che trent'anni sono come un ergastolo casi come questo di Fioravanti e Mambro, e di chi come loro colleziona condanne per omicidi gravissimi, non possono considerare d'aver pagato il conto con la giustizia e la nazione per gli immensi lutti, sangue e dolore procurati. Per essere iperclementi con Caino si destabilizza quella fiducia nella giustizia che una collettività non può smarrire.
Enrico Campofreda