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Moby Prince, dietro il naufragio traffico d'armi e scorie nucleari?
Luigi Grimaldi
Fonte: Liberazione, 10 aprile 2009
10 aprile 2009

Livorno 10 aprile 1991. E' la notte della strage dei 140. I passeggeri e l'equipaggio del traghetto Navarma Moby Prince avvolto dalle fiamme dopo una tuttora inspiegabile collisione con una petroliera della Snam, l'Agip Abruzzo. Tutto si compie nelle prime ore della sera. 18 anni di silenzi e di menzogne in cui è affogata ogni possibile verità sul più grave disastro della marina mercantile italiana del dopoguerra.
Livorno, un grande porto, il polmone che dà ossigeno all'economia di un'intera città. Navi che vanno e vengono. Porta containers, petroliere, traghetti, Ro-ro, ma anche rifornimenti, da e per, la base Usa di Camp Darby. 10 Aprile '91, 140 morti, autorità portuali che da subito e per anni hanno raccontato di una fittissima nebbia che non c'era: il preludio ad una teoria infinita di depistaggi e ostacoli alle indagini.
Da due anni l'inchiesta è stata riaperta da un pool di magistrati livornesi. Indagini complesse, avvolte nel massimo della riservatezza, quasi in segreto, perché in un caso come questo l'ombra del depistaggio, dell'inquinamento, sembra essere sempre in agguato.
Già, perché mentre si compie la tragedia del Moby il mare di Livorno pullula di navi da carico americane stipate di armi e munizioni (vedi l'intervista all'avvocato Carlo Palermo qui a fianco), le radio non funzionano e i radar vengono oscurati. Sullo stato delle indagini non trapela nulla. E allora per raccontare questa storia dobbiamo fare da soli scavando nelle rotte delle navi dei misteri e in vecchie risultanze istruttorie con cui si può comporre un puzzle, un'ipotesi che disegna uno scenario che un senso, agghiacciante, sembra averlo.

Affari e faccendieri
Ma andiamo con ordine, cominciando con un nome. Marcello Giannoni.
Giannoni era, è deceduto qualche anno fa, un faccendiere livornese impegnato in traffici con la Somalia, dove, nei primissimi mesi del 1991, si reca per "acquistare" una innocente licenza di pesca nelle acque di un paese distrutto da una sanguinosa guerra civile. Così Giannoni entra in contatto con il neo presidente somalo (autonominato) Alì Mahdi. In questa trasferta lo accompagnano due interessanti personaggi.
Li chiama in causa Giannoni in un interrogatorio dell' 8 aprile 1999: «lo sono stato in Somalia nel 1991 assieme ai sig. Enzo Magri, Gianpiero Del Gamba e Awes Nur Osman (rappresentante commerciale della Somalia Livorno nda ) abbiamo acquistato una concessione di pesca per 40mila dollari... La concessione di pesca era globale su tutta la costa, tanto che una volta vennero le barche a remi del Sultano di Bosaso per farci allontanare. Il pescato l'abbiamo portato in Italia e scaricato a Gaeta».

L'ombra della P2
Ma in alcune indagini del pm romano Franco Ionta, è emerso che Giampiero Del Gamba sarebbe stato in relazione con tale Guido Garelli, l'animatore di una organizzazione dedita al traffico internazionale di armi e scorie nucleari: il Progetto Urano. Secondo quanto riferito nel 2004 dal governo al Parlamento "Urano" è «finalizzato all'illecito smaltimento, in alcune aree del Sahara, di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti dai Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di Governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia..». Insomma va detto: secondo una denuncia pubblica di Greenpeace International i traffici di Giorgio Comerio vanno riferiti alla società Odm la cui sede a Londra era nello studio dell'avvocato David Mills, da poco condannato per essersi fatto corrompere da Silvio Berlusconi (anche lui ex piduista) testimoniando il falso davanti ai giudici milanesi che indagavano sui passaggi di denaro da Berlusconi a Bettino Craxi.
Garelli, scrive la Digos, «nella metà degli anni Ottanta entrò in contatto con qualche elemento già iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli e precisamente Giampiero Del Gamba e Elio Sacchetto (uno dei protagonisti del progetto Urano, nda )». Chi è Del Gamba? Scrivono gli investigatori: «già segretario provinciale della Dc (livornese) fu costretto a dimettersi a causa del ritrovamento del suo nome negli elenchi della loggia massonica P2. Nel 1982 venne arrestato a Bologna in quanto sospettato di traffico d'armi e scarcerato dopo 40 giorni. Nel luglio del 1983 venne nuovamente tratto in arresto dalla Guardia di Finanza di Livorno per contrabbando di valuta. Il 3 agosto 1990 si è recato a Villa Wanda, residenza di Licio Gelli».
Si tratta evidentemente di fatti contemporanei, precedenti o di poco successivi al disastro del 10 aprile 91 che rappresentano, pur non risultando seguiti penali, una premessa necessaria a dare il giusto valore alla confessione resa da Giannoni agli inquirenti.

La confessione di Giannoni
Giannoni parte dal nome di un personaggio di primissimo piano: Moussa Bogor, il sultano di Bosaso, l'ultima persona intervistata da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviati del Tg3, prima del loro assassinio a Mogadiscio il 20 marzo 1994, (mentre indagavano sulla flotta da pesca Italo-somala Shifco).
«...il Sultano di Bosaso ha detto alcune verità in merito allo smaltimento di rifiuti industriali e radioattivi che sono stati seppelliti in Somalia [...]che tali rifiuti provenivano da Milano. - ha dettato a verbale Giannoni - Molti rifiuti sono terre di fonderia e polveri tossiche di abbattimento fumi, che sono state esportate in Somalia con la funzione di essere utilizzate anche per mascherare lo smaltimento anche di rifiuti radioattivi, detto "check" che è un misto derivante dalla lavorazione dell'uranio detto "dolce giallo" (uranio U-3O8 in gergo "yellow cake" nda ). Tale materiale è stato miscelato in Italia con terre di fonderia provenienti da varie ferriere in Italia... ». «Nel mio progetto in Somalia», aveva aggiunto Giannoni, «doveva essere partecipe un uomo politico ex Psi di Milano, di cui ora non ricordo il nome e che mi riservo di dire. Tale persona aveva il compito di portare nelle casse i proventi in denaro derivanti dallo smaltimento dei rifiuti tossici provenienti dalle fonderie».
Il fatto è che un altro dei protagonisti del progetto Urano, il braccio destro di Guido Garelli, ha in pratica descritto la medesima attività, alla autorità giudiziaria di Asti, facendo qualche rivelazione che getta un po' di luce sulla tragedia del Moby Prince: «Ricordo che io accompagnai Guido Garelli presso la base Nato di Livorno e lo stesso venne ricevuto senza nessun tipo di controllo e nessun lasciapassare, e dal suo comportamento mi sembrava persona conosciuta e avvezza a trattare in certi ambienti militari, sia americani che italiani».

Gli affari con la Snam
«Nel 1990-'91 con il progetto Urano, già in essere come Ats (sigla dell'organizzazione di Garelli nda ), mi sono occupato (...) con la compartecipazione della Snam, ministero dell'Ambiente e con il ministero dei Trasporti, si era trovata la formula legale per smaltire i rifiuti quali terre di fonderia, ceneri leggere e altri rifiuti del genere, classificati all'epoca speciali, impiantando uno stabilimento per lo smaltimento a Ceuta (enclave spagnola in Marocco nda ). Tale progetto poi non ebbe seguito (...). L'accordo di massima era in questi termini: (...) la Snam avrebbe dato alla nuova società l'automazione e la tecnologia per rendere inerti i rifiuti speciali inviati a Ceuta per la trasformazione in mattonelle per la pavimentazione stradale». Insomma, sembra la filiera descritta da Giannoni ma con la partnership tra Guido Garelli e la Snam: la compagnia armatoriale della petroliera contro cui va a cozzare il Moby. Clamoroso. Anche perché non sembrerebbe così scontato che il progetto sia rimasto sulla carta.
Giannoni e il braccio destro di Garelli parlano nel 1999. E lo fa anche, il 15 dicembre 1998, Ezio Scaglione, console di Somalia in Italia, massone, già membro della segreteria dell'onorevole Boniver del Psi (oggi nel Pdl) e associato a Garelli nel progetto Urano in Somalia, davanti alla Polizia giudiziaria di Asti: «In merito al progetto Urano [...] aggiungo [...] che si trattava di rifiuti tossico-nocivi e, a mia domanda al Garelli, lo stesso mi disse che si trattava anche di rifiuti radioattivi».

Gli affari di via Fauro
Gli affari somali di Giannoni, in base ad una clamorosa denuncia dell'Agenzia per l'ambiente delle Nazioni Unite, vanno riferiti a una società romana posta di fronte al punto dell'attentato del 14 maggio 1993, in Via Fauro. Una società finanziaria la cui sede legale si trovava nella stessa via, qualche portone più avanti, allo stesso indirizzo di un'altra finanziaria la cui sede secondaria era, all'epoca, a Napoli, allo stesso indirizzo dell'armatore del Moby Prince. Snam e Moby Prince. Saranno ben coincidenze ma non sfugge a nessuno che si tratta degli stessi protagonisti della tragica collisione livornese legati da un filo sottile che da Livorno sembra passare dalla Somalia.
Non è tutto. Il Sultano di Bosaso ha testimoniato di aver riferito nell'intervista rilasciata a Ilaria Alpi di uno sbarco di armi a Chisimaio effettuato da una nave, della compagnia italo-somala di pesca Shifco, a «marzo-aprile del 1991». Insomma poco prima o poco dopo la tragica collisione di Livorno.
Il riferimento è interessante perché l'unica nave "spola" tra l'Italia e la Somalia, di proprietà di questa compagnia, è la "XXI Ottobre II", una nave presente a Livorno la sera del 10 aprile 1991. In occasione dello sbarco a Chisimaio, ha dichiarato il Bogor, «noi domandammo nuovamente se la nave da cui era stato sbarcato il materiale militare e da cui si stava scaricando il combustibile fosse una nave della Shifco, e ci fu confermato che si trattava appunto di una nave di tale società». Ed è accertato che tra le tante qualità della XXI Ottobre II c'è anche quella di essere una nave in grado di trasportare combustibile, originariamente destinato al rifornimento in mare delle navi da pesca oceaniche. Un dettaglio che getta nuova luce su una misteriosa "manichetta" trovata dai pompieri, dopo il disasto, allacciata a una delle cisterne della petroliera Snam come se il disastro avesse interrotto bruscamente una operazione di travaso.

La nave dei misteri
Armi e combustibile quindi. Materiali presenti entrambi in grande abbondanza nel porto di Livorno la notte del 10 Aprile 1991, dove è ormeggiata, già da alcuni giorni, al molo Magnale, proprio la nave Shifco XXI Ottobre II. Un molo di fronte al quale vivono i coniugi Pietro La Fata e Susanna Bonomi. Lui è un ufficiale della Capitaneria di porto. Susanna Bonomi ne è sicura: la notte del 10 aprile su quel molo è accaduto qualcosa. Aveva visto l'area sgombra prima di tirare giù le serrande. La mattina dopo, invece, in quel punto del molo Magnale c'è una barca, circa 70-80 metri di lunghezza: «Io tiravo giù la serranda e non c'era niente perché vedevo, stavo di fronte alla banchina e non c'erano navi», ha riferito. «La mattina feci l'operazione inversa. La mattina c'era una nave». Ed esiste una sola nave con queste caratteristiche ormeggiata in quella zona del porto: appunto la XXI Ottobre II.

Containers di T4
Il marinaio somalo Mohamed Samatar, ex timoniere della XXI Ottobre II, ha messo a verbale, durante un interrogatorio reso ai carabinieri di Latina, di essere stato sino al 23 marzo 1991 il timoniere della nave Shifco e di aver assistito all'imbarco di diversi containers con la scritta "Esplosivo".
Nella sua deposizione Samatar ha sostenuto che i containers di esplosivo sarebbero stati caricati a Tripoli sulla XXI Ottobre II e sbarcati a Beirut nel gennaio del 1991 con la supervisione di un tal "Mancinelli": «Ora questo viaggio noi l'abbiamo un po' studiato con degli Ufficiali di marina di Gaeta», ha deposto il Capitano Sottili, della Compagnia Carabinieri di Gaeta, «perché non risulta da nessuna parte che questa nave abbia toccato questi porti (Tripoli e Beirut, nda ), però non risulterebbe comunque, perché la nave non sarebbe entrata nei porti, sarebbe rimasta fuori (utilizzando delle chiatte per scaricare, nda )».
I Carabinieri hanno anche scoperto che Florindo Mancinelli, uno degli amministratori italiani della flotta Shifco (che potrebbe essere la persona indicata da Samatar), all'epoca era stabilmente ospite dell'albergo Ariston di Formia e aveva lasciato quel centro il 9 gennaio 1991, facendovi ritorno solo il 4 marzo. La XXI Ottobre II avrebbe lasciato Formia proprio il 9 gennaio (il giorno in cui Mancinelli avrebbe lasciato il suo hotel a Formia) per arrivare a Suez il 16 gennaio e tornare infine a Gaeta proprio il 4 marzo (il giorno in cui ricompare a Formia Mancinelli). Dopodichè la XXI Ottobre II riparte per arrivare, il 15 marzo successivo, a Livorno da dove non risulterebbe si sia più mossa fino alla sera del 10 aprile.

La bomba sul traghetto
Rivelazioni potenzialmente esplosive e insondate se si pensa alla possibilità che armi, o esplosivi, siano stati trasportati dalla Somalia verso altre destinazioni, tra cui l'Italia, nei primi mesi del 1991. Una prospettiva agghiacciante perché la notte del disastro sul Moby Prince è esplosa una bomba. Una bomba, secondo il perito del pm, costituita da T4 e pentrite ma, che, per dimensioni, non avrebbe potuto provocare la collisione. Una bomba comunque potente (ha distrutto un camion) e costruita con gli stessi componenti delle bombe utilizzate due anni più tardi per le stragi di mafia del 1993 a Milano, Firenze e Roma: una stagione di attentati inaugurata con l'esplosione di via Fauro. Troppe coincidenze inspiegate e inspiegabili. Fantascienza ? Forse no. Un giudice della Procura di Ginevra, Laurent-Kaspar Anserment, ed un parlamentare argentino, Franco Caviglia, hanno in due diverse vicende sostenuto che proprio tra la fine del 1990 e i primi mesi del 1991 sarebbe stato messo in circolazione un enorme carico di T4 che dalla Spagna, attraverso una serie di triangolazioni, sarebbe arrivato in Medio Oriente per essere poi diviso in diversi lotti. Esplosivo trattato da trafficanti internazionali, ben noti anche in Italia, legati a personaggi dei servizi segreti polacchi (Wsi), già coinvolti nello scandalo Cia-Iran-Contras e collegati finanziariamente al clan mafioso dei Santapaola. Insomma la sensazione è che di gente potente interessata a che non si faccia luce su questa tragedia, in giro, ce n'è ancora tanta.