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L'intervento di Livio Miccoli all'iniziativa "Urla nel silenzio"
Livio Miccoli
26 novembre 2008

Oggi è una giornata per me molto importante. E' la prima volta che alcuni dei familiari delle vittime della violenza politica degli anni Settanta sono riuniti insieme, per ricordare i loro congiunti che in quegli anni furono uccisi. Già questo, di per sé, mi sembra un fatto estremamente significativo. Ringrazio gli organizzatori Marco Falvella e Giampaolo Mattei per avermi invitato alla manifestazione "Urla nel silenzio", alla quale partecipo con profonda convinzione.

Abbiamo appena assistito alla proiezione di un video bellissimo, che mi ha commosso ed emozionato, il cui messaggio pienamente condivido. Vi sono però alcuni termini, che ho trovato anche in alcuni documenti finora prodotti per "Urla nel silenzio", che personalmente non avrei usato.

Secondo me infatti è inopportuno e sbagliato parlare di "pacificazione" o di "riconciliazione".

Non solo perché sono parole che possono rievocare revisionismi disonesti o riabilitazioni dubbie, compiute nella fretta di chiudere i conti col passato. Un passato che invece, e noi che oggi siamo qui lo sappiamo bene, non può passare completamente, perché porta con sé ferite aperte, destinate a non richiudersi mai. Ma questa è materia che possiamo lasciare alle discussioni degli storici, o ai litigi dei politici.

La pace, la riconciliazione, la si fa col nemico. E noi non siamo nemici. Né noi, qui oggi, né i nostri fratelli hanno mai litigato o fatto a botte. Dunque non abbiamo niente di cui riconciliarci. Non dobbiamo fare pace, perché non ci siamo mai fatti la guerra.

Diverso sarebbe se avessimo qui tra noi oggi, fianco a fianco, un assassino e la sua vittima.
Per me, per esempio, diverso sarebbe se oggi fosse qui Ernesto Nonno, che, dopo aver colpito mio fratello Claudio con quattro randellate che gli sfondarono il cranio, sfogliando i giornali il giorno dopo e non trovando la notizia dell'aggressione compiuta, esclamò: "Ma che sfaccimma, non si è fatto niente!". O Rosario Lasdica, che dopo aver partecipato al raid squadristico a piazza Sannazzaro, dopo l'arresto, orgoglioso per l'azione svolta, sorridente alzò il braccio nel saluto romano rivolto ai fotografi.

O diverso sarebbe se oggi fosse qui Giusva Fioravanti, oggi impegnato nell'associazione "Nessuno tocchi Caino" (forse dovremmo preoccuparci di difendere un po' meglio Abele) che a un giornalista che gli chiedeva: "A sua figlia Arianna, un giorno racconterà chi era Valerio Fioravanti?" ha candidamente risposto: "E' difficile dire chi eravamo: fummo una sorta di "Ragazzi della via Pal" in versione esagerata". Dunque i 98 morti (85 dilaniati dalla bomba alla stazione di Bologna e i 13 uccisi a revolverate) Fioravanti non li porta sulla coscienza, no, per lui sono stati poco più che un gioco di ragazzi!

Alcuni fra noi, oggi, non saprebbero neanche con chi riconciliarsi, dal momento che i responsabili della morte dei loro cari sono rimasti ignoti o si sono resi irreperibili, e quindi, di conseguenza, sono anche impuniti.

La riconciliazione, - non parlo neanche del perdono, perché le parole sono importanti, e vanno scelte con cura - quando c'è, è il frutto prima di un sincero pentimento da parte dei carnefici (che forse nessuno di noi qui presente fra i parenti delle vittime ha mai visto), e poi di un percorso sofferto e doloroso, che appartiene alla coscienza di ognuno. Nessuno di noi concluderebbe questo cammino in una manifestazione pubblica, alla presenza di telecamere e giornalisti, anche se la televisione ci ha ormai abituato alla perdita di ogni pudore e alla spettacolarizzazione dei sentimenti.

E non inganni la scarsa delicatezza con cui un telegiornale ha associato la notizia della manifestazione "Urla nel silenzio" a quella dello "storico incontro" tra l'ex capo del governo Giulio Andreotti e l'ex brigatista Valerio Morucci, che con disinvoltura si sono stretti la mano pubblicamente alla presentazione dell'ennesimo libro dedicato ai terroristi. Quanto sarà costato, quanto sarà stato difficile e tormentoso per Andreotti e Morucci rappacificarsi? In fondo, mica ci sono morti loro negli anni di piombo...
D'altra parte, Morucci non può più riconciliarsi né con Aldo Moro, né con gli uomini della sua scorta Raffaele Jozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera o Francesco Zizzi, perché sono tutti morti. Per mano sua, e di quelli come lui.
Però, se proprio voleva fare pace con qualcuno, Morucci avrebbe potuto cercare almeno le loro vedove, o i loro figli. Oppure scegliere un'altra alternativa: stare zitto e non farsi più vedere, scomparire dalla scena.
Anche Andreotti, anziché colloquiare con i terroristi, farebbe meglio a rivolgersi ai familiari delle loro vittime: per esempio, potrebbe spiegargli che cosa ha fatto lo Stato italiano negli anni Settanta per proteggere i suoi cittadini e servitori.
O forse non c'è più bisogno di spiegare nulla, di aggiungere altro a quanto ha già dichiarato recentemente un altro senatore a vita, presidente emerito della Repubblica, il molto poco onorevole Francesco Cossiga. Commentando le agitazioni studentesche di questo autunno nelle scuole e nelle università, Cossiga affermava: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Ritirare le forze dell'ordine dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e a fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano". Peccato che queste agghiaccianti rivelazioni, che sembrano frutto di una mente malata o criminale, omettano di ricordare le vittime prodotte da questa strategia: per esempio Giorgiana Masi, la studentessa diciannovenne che nel 1977, quando Cossiga era ministro dell'Interno, pagò con la vita la sua partecipazione a una manifestazione sul divorzio.

Ecco dunque che cosa hanno fatto i nostri governanti per impedire che le violenze si perpetrassero e l'odio politico si diffondesse presso i giovani. Dunque anche loro hanno qualcosa da farsi perdonare.

I giornali danno sempre ampio risalto alle dichiarazioni di questi personaggi. Ecco, anche questo oggi chiediamo agli amici giornalisti tutti insieme: per favore meno spazio ai buffoni e agli assassini, e più rispetto per le vittime.

Noi oggi però non siamo qui per stringere mani o dispensare consigli. Vorremmo invece rivolgere ai giovani, agli studenti che sono venuti qui per ascoltarci, semplicemente un appello, in nome di quanti persero la vita a causa del fanatismo, dell'intolleranza, dell'odio politico.

Niente può giustificare la violenza, neanche le colpe degli altri.

Nessuna giustizia può nascere dalla violenza, come nessun albero sano può germogliare da un seme malato.

Opponetevi, dunque, alla violenza degli individui e della società, alla prepotenza e alla sopraffazione, all'intolleranza e al razzismo, all'ingiustizia e alla guerra; con la vostra integrità morale, con la verità delle vostre parole, con la forza della solidarietà, con il ricordo di chi - come Claudio - sacrificò la sua vita per questi valori.

Esiste una sola umanità. Solo la nonviolenza può salvarla.

Grazie

Livio Miccoli

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