La procura militare di Roma ha chiuso l' indagine preliminare per la strage di Cefalonia. E si prepara a chiedere il rinvio a giudizio dell' unico indagato, Otmar Muhlhauser, il sottotenente tedesco che, il 23 settembre del ' 43, alla Casetta Rossa, fece fucilare il comandante della divisione Acqui, generale Antonio Gandin, e altre decine di ufficiali. Nei giorni scorsi, all' anziano ex sottotenente del Reggimento 98 dei "cacciatori alpini" (i gebiergsjager), due carabinieri inviati dal procuratore militare Antonino Intelisano e dal sostituto Gioacchino Tornatore hanno notificato, per rogatoria, la chiusura indagini. Muhlhauser, 88 anni (ne aveva 23 nel settembre del 1943), mastro pellicciaio, vive a Dillingen sul Danubio, nel cuore della Svevia, a 100 chilometri da Monaco. Ora ha 20 giorni di tempo per depositare a Roma la sua memoria difensiva, dopodichè la procura chiederà il suo rinvio a giudizio. In quel momento, chiederanno di costituirsi parti civili Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco, E Paola Fioretti, figlia di Giovanni Battista, capo di stato maggiore, entrambi fucilati alla Casetta Rossa. L' ex ufficiale Muhlhauser, per la verità, non è la prima volta che finisce sotto processo. Fu indagato nel 1967 in Germania, ma il processo fu insabbiato un anno dopo. Una seconda indagine a suo carico avviata il 12 settembre del 2001, s' è stata conclusa con una sentenza choc della procura di Monaco: «archiviazione perché - secondo il giudice tedesco - i soldati italiani a Cefalonia erano traditori, e quindi andavano trattati come i disertori tedeschi: fucilati». Anche nel nostro Paese l' eccidio di Cefalonia ha avuto nel Dopoguerra una travagliata vicenda giudiziaria. Scrive lo storico Giorgio Rochat: «Negli anni Cinquanta in Italia furono processati 30 ufficiali tedeschi accusati della strage, tutti assolti nel ' 60 anche per gli ostacoli frapposti dai ministri Martino e Taviani, più preoccupati di non creare difficoltà al governo tedesco che di rendere giustizia ai caduti italiani». Quell' «insabbiamento» in nome di una ragion di stato non s' interruppe nel 1980, quando Sandro Pertini, denunciando la «congiura del silenzio», dichiarò che «l' olocausto di Cefalonia fu dimenticato per omertà tedesca e ignoranza italiana». E neppure nel 1994, quando fu trovato in un armadio nascosto nei sotterranei degli uffici giudiziari militari (il cosiddetto «armadio della vergogna»), fra tanti fascicoli «dimenticati» sulle stragi nazifasciste, anche quello con il numero 1188 relativo all' eccidio di Cefalonia. Anche allora fu «dimenticato». S' è dovuto attendere quasi un decennio, perché la procura militare romana, all' indomani delle archiviazioni choc avvenute in Germania, aprisse finalmente, il 30 ottobre del 2007, un fascicolo sulla strage. E questo nonostante il mastro pellicciaio Muhlhauser non abbia mai negato il suo ruolo nella fucilazione degli ufficiali italiani alla Casetta Rossa. Anzi, fin dal 1967 è, si può dire, reo confesso, avendo allora, e poi ancora nel 2004, spiegato e ribadito ai giudici tedeschi nei minimi dettagli come comandò il plotone d' esecuzione che sterminò gli ufficiali della Acqui. È ora quella sua confessione resa il 24 marzo del 2004 negli uffici di polizia criminale del Land Baviera - e acquisti dalla procura militare romana - a inchiodarlo alle sue responsabilità dinanzi la Giustizia italiana. «Ricevetti l' ordine di fucilare gli italiani dal maggiore Klebe. Per primo fu condotto Gandin, il maggiore Klebe gli lesse la sentenza della corte marziale nella quale il generale veniva condannato a morte mediante fucilazione. Dopo la lettura, il maggiore chiese al condannato se voleva essere giustiziato con gli occhi bendati, ma Gandin rifiutò la benda». «A quel punto - dichiara ancora Muhlhauser - Klebe si rivolse direttamente a me dicendomi "attenda al suo ufficio". Poco prima di impartire l' ordine "fate fuoco", il generale urlò "Viva l' Italia, viva il re". Subito dopo crollò a terra». È sufficiente questa ammissione per rinviare a giudizio l' ottantottenne mastro pellicciaio, processarlo e condannarlo? Non si avvarrà anche lui, come tutti gli ufficiali tedeschi nella sua situazione e con il suo grado, dell' esimenti di aver obbedito durante la guerra ad un ordine superiore? L' ordine di «non fare prigionieri», del resto, arrivò direttamente da Hitler, infuriato con gli italiani a Cefalonia perché, dopo l' Armistizio, non solo rifiutarono, il 9 settembre, l' ordine di resa e di consegnare le armi ai tedeschi. Ma, dopo un referendum fra i soldati, le impugnarono, il 14, contro gli ex alleati nazisti. L' epilogo fu una carneficina: degli 11 mila soldati e 525 ufficiali presenti a Cefalonia, 3800 furono trucidati in settembre, e 1360 affogarono durante il successivo sgombero per mare. Per l' ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, «fu in quel momento che nacque la Resistenza italiana».