Napoli, 20 novembre 2008
Cari compagni della redazione di pernondimenticare.com,
chi vi scrive è uno dei "fratelli" cui è indirizzata la vostra "lettera ideale", intitolata "Un abbraccio disgustoso".
Mio fratello Claudio Miccoli, ventenne ambientalista e nonviolento, fu selvaggiamente bastonato la sera del 30 settembre 1978 in piazza Sannazzaro a Napoli, per aver cercato di dialogare con alcuni fascisti che avevano aggredito un altro giovane qualche minuto prima, "colpevole" di avere con sé un giornale di sinistra. "Si stava tornando a casa quando vedemmo quel gruppo di quattro persone (uno brandiva un coltello, un altro impugnava un bastone). Miccoli ci disse di scappare. Successivamente, però, si fermò". Così testimoniò ai magistrati un giovane, appena quindicenne, che si trovava casualmente in compagnia di Claudio al momento dell'aggressione. Claudio compì allora un gesto certo dettato dall'incoscienza dei suoi vent'anni, ma anche dal coraggio dei suoi ideali. Solo, armato soltanto delle sue parole, andò incontro ai suoi assassini per parlare con loro, per domandare ai violenti le ragioni della loro violenza, per chiedere: "Perché?" Gli si avventarono contro, seppellendolo sotto una gragnola di pugni, calci, bastonate che gli sfondarono il cranio. Morì, dopo sei giorni di agonia, il 6 ottobre 1978. In ospedale, prima di perdere conoscenza, parlando di chi lo ha ucciso, disse: "Non mi hanno lasciato il tempo, io volevo parlare, volevo spiegare, volevo..."
Dopo la morte, i suoi organi furono donati, secondo la sua volontà; oggi due persone vedono grazie a lui.
Da allora sono passati più di trent'anni. E qualche volta, in questo periodo, Claudio Miccoli è stato ricordato in commemorazioni pubbliche. Con sollievo devo riconoscere che mai nessuno, neanche tra i fascisti, gli ex fascisti o i post-fascisti, ha mai osato avanzare la benché minima obiezione a tali manifestazioni (almeno guardandomi in faccia: vigliaccamente, a volte, qualche ignoto imbecille - permettetemi di definire così qualcuno che evidentemente non la pensa come me - ha imbrattato o danneggiato il cippo dedicato a Claudio). Anzi, prima il MSI e poi AN hanno spesso preso parte alle cerimonie. Ma qualche volta, commemorando Claudio, qualcuno ha detto: "E' giusto rendere omaggio alla memoria di Claudio Miccoli, ma ricordiamo anche i nostri caduti".
Ecco, questa è una frase che io non ho mai capito. E infatti ho sempre chiesto un chiarimento, ottenendo una risposta che non c'entrava niente, o un silenzio imbarazzato. Eppure la mia domanda è semplice: "Perché, Claudio non è un vostro caduto?"
A meno che non pensiate che sia giusto uccidere qualcuno perché vuol dialogare, perché la pensa diversamente da voi, perché professa un'altra religione, perché la sua pelle è di un altro colore, perché le sue preferenze sessuali o le sue opinioni politiche non corrispondono alle vostre, Claudio Miccoli dovrebbe essere un vostro morto. Viceversa, non vedo come potrebbe rendere onore alla sua memoria chi crede che sia giusto ammazzare un uomo perché ebreo, negro, omosessuale, comunista o fascista.
Ma se il ricordo di Claudio Miccoli appartiene a tutti coloro che ripudiano la sopraffazione, il pregiudizio, la violenza, insomma a tutta la gente perbene, la stessa cosa vale, deve valere, per tutte le altre vittime. Introducendo la cronologia del 1978, e ricordando i morti di quell'anno, sul sito www.comitatoclaudiomiccoli.it, abbiamo scritto: "Siamo innanzitutto dalla parte delle vittime, di tutte le vittime, indipendentemente dal loro colore politico: accanto ai "rossi" Roberto Scialabba, Fausto e Iaio, Ivo Zini, abbiamo voluto ricordare i "neri" Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni. Vittime questi, assassini chi li ha uccisi, e tanto basta".
Carlo Falvella, studente di Filosofia e attivista del FUAN, ucciso a Salerno nel 1972 a 19 anni da una coltellata al petto che gli recise l'aorta, e Virgilio e Stefano Mattei, di 22 e 10 anni, arsi vivi nel rogo di Primavalle a Roma nel 1973, non sono certamente i fascisti che "con le stragi e gli omicidi, con la copertura della polizia, dei servizi segreti e di parte delle istituzioni, si organizzavano per trame abiette, per stabilire di nuovo una dittatura, per ostacolare il progresso sociale, distruggere la democrazia, la Costituzione nata dalla Resistenza". I fascisti di cui voi parlate ci sono stati e ci sono ancora, ma non si chiamano Carlo, Virgilio o Stefano. Questi non sono aguzzini, gentaglia assassina, o teppisti; sono invece delle vittime e, in quanto tali, sono certamente anche miei morti, e di tutta la gente perbene. Su questo sarete d'accordo con me: chi si rifiuta di rendere l'onore della memoria a un bambino di dieci anni, innocente vittima della follia ideologica di spietati assassini, è una canaglia.
Dunque le vittime non hanno colore politico? I morti sono tutti uguali?
Assolutamente NO!
Ogni individuo è unico e irripetibile, ognuno è vissuto diversamente dagli altri, ognuno, anche, è morto diversamente dagli altri. I morti sono tutti diversi, perché erano diversi da vivi. Concordo pienamente con le vostre affermazioni al riguardo: "Ognuno di noi vive una vita nella quale esprime se stesso, ciò che è, ciò che vorrebbe essere (...) Quando uno dei nostri cari muore noi ci premuriamo di ricordarlo con queste sue caratteristiche. La morte non è l'indistinto nel quale annegare le differenze, anzi".
Ma unificare "tutti i morti assassinati da questa parte politica, dai fascisti" e, aggiungo, presumere che lo stesso facciano quelli dell'altra parte politica con i loro morti, assassinati dai comunisti (e in effetti mi consta che alcuni, da destra, si siano opposti alla manifestazione "Urla nel silenzio" per ragioni analoghe alle vostre), non equivale forse ad annullare tutte le differenze, per sottolineare invece una sola caratteristica comune a tutti i morti di una parte politica, cioè da chi sono stati uccisi?
Mio fratello Claudio Miccoli è stato ucciso dai fascisti. Questa è la verità storica, e non si può cambiare (né tanto meno negare). Probabilmente, se Claudio fosse morto, mettiamo, in un incidente stradale, quasi nessuno lo ricorderebbe ancora. Ma oltre ad essere una delle numerose vittime del fascismo, Claudio è stato un ragazzo che, come tanti, scriveva poesie, disegnava, fotografava, si opponeva alle centrali nucleari, lavorava nel WWF a un progetto per la reintroduzione dei cervi e dei caprioli nell'Appennino meridionale. Un ragazzo che ha scelto, fino in fondo e al prezzo della propria vita, la nonviolenza. Un ragazzo che scrisse, pochi mesi prima di essere ucciso: "Io che non volevo colpire, sono stato colpito! Non ho vinto perché volevo vincere, ma perché mi avete sconfitto: perché la più bella vittoria, per chi non vuole combattere, è non lottare proprio". Sicuramente è giusto raccontare che Claudio fu ucciso dai fascisti, e bisogna dire i fascisti chi erano e quanti erano, con quali armi e con quanti colpi lo ferirono, ma non dobbiamo fermarci qui. Altrimenti il ricordo si sposta su quei figuri che non meritano che la nostra memoria indugi troppo a lungo su di loro.
Io voglio ricordare Claudio, non i suoi assassini.
Forse solo questo vogliono i familiari delle vittime: ricordare i loro cari. Forse sono stanchi di ricordare soltanto i "neri" o i "rossi" che li ammazzarono. Forse, l'esperienza di un dolore inestinguibile li ha convinti che più che le differenti idee politiche, conta come quelle idee si affermano: con una penna, un microfono o un volantino, oppure con una spranga, una pistola o una chiave inglese.
Quando un amico mi avvertì, sul finire delle vacanze, che Marco Falvella voleva parlarmi, sul principio ero un po' agitato. Gli amici mi avevano messo in guardia: "Vedi bene di che si tratta, attento alle strumentalizzazioni, è un'iniziativa di due fascisti..." Ma mio fratello Claudio è morto per tentare di dialogare con chi, accecato dal fanatismo, non parlava altro linguaggio che quello della violenza. Non potevo essere certo io a chiudere la porta in faccia a un familiare di una vittima, anche fascista, che intendeva dialogare con me. Anzi, forse Marco mi aveva preceduto, trovando il coraggio di fare quello che avrei voluto fare anch'io.
Quando Marco Falvella mi ha raggiunto telefonicamente, gli ho dato appuntamento per incontrarci a piazza Sannazzaro a Napoli, dove Claudio fu aggredito. Mi sono trovato di fronte una persona animata da intenzioni assolutamente pure, che con dignità e compostezza cerca di dare un senso alla morte del fratello Carlo, e uno sbocco alla sua sofferenza che dura ormai da 36 anni. Una persona che - insieme a Giampaolo Mattei, che aveva 4 anni quando i suoi fratelli bruciarono nel rogo di Primavalle - organizza una manifestazione "che parta da coloro che sono stati colpiti negli affetti, perchè il confronto delle tragiche esperienze costituisca un monito per tutti coloro che, spinti dalla giovane età, perdono le ragioni di una comunità e scelgono quelle dell'odio".
Parole che riecheggiano quelle di Michele Favella, il padre di Carlo, che nel luglio del 1972, ancora inebetito per la notizia della morte del figlio, disse ai giornalisti: "Scrivete solo questo: che questa morte semini pace. Che sia la fine di ogni violenza". Parole che, a loro volta, a me hanno ricordato quelle di mio padre Zeno Miccoli, che sulla bara di Claudio mormorò: "Speriamo che adesso la morte di mio figlio serva almeno a spezzare questa assurda catena di odio e di violenza". Parole che, spero, potranno accomunare tutti i familiari delle vittime del fanatismo e dell'odio politico.
Carlo Falvella e Claudio Miccoli erano certamente molto diversi (così come diversi sono oggi i loro familiari) e, se si fossero incontrati, non si sarebbero trovati d'accordo su tante cose. Ma un fatto è sicuro: per far valere le proprie ragioni, né Carlo avrebbe sfoderato un coltello, né Claudio avrebbe mai impugnato un bastone.
Per tutti questi motivi parteciperò, con profonda convinzione, alla manifestazione "Urla nel silenzio", in memoria di tutti i ragazzi che sono stati uccisi. E non credo che sarà "come ucciderli una seconda volta".
Questo, cari compagni della redazione di pernondimenticare.com, è ciò che ho trovato guardando negli occhi di mio fratello Claudio, come mi avete suggerito di fare.
Ho anche guardato negli occhi Marco, il fratello di Carlo Falvella. Ho visto un uomo, un uomo come me.
Spero di guardare presto negli occhi anche voi.
Vi abbraccio
Livio Miccoli