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lettera dei genitori di Alberto Mercuriali Presidente della Repubblica
Maria Cristina Francesconi e Renzo Mercuriali (genitori di Alberto Mercuriali)
5 febbraio 2008

Terra del Sole, 5 febbraio 2008

Illustrissimo sig. Presidente della Repubblica

nostro figlio Alberto, di 28 anni, primo di quattro fratelli, laureato in Agraria e impiegato da due anni presso il Consorzio Agrario di Ravenna come ricercatore scientifico, si è tolto la vita nella notte di domenica tra l'8 e il 9 luglio dello scorso anno. Aveva con sè i verbali dei Carabinieri di Forlì che lo avevano fermato tre giorni prima, la notte del giovedì, per possesso di una modesta quantità di hascish (54,6 grammi) ed una lettera nella quale ci spiegava il motivo del suo tragico gesto. Abbiamo appreso ogni circostanza relativa a quei drammatici giorni successivamente, ricostruendo gli avvenimenti dai verbali stessi e dagli articoli di cronaca dei giornali locali, ad uno dei quali, in particolare, l'ultima lettera di Alberto faceva riferimento.

Quanto accaduto ad Alberto è paradigmatico di cosa può capitare ad un giovane onesto e sensibile nel momento in cui, per una leggerezza o per un errore, capita nella morsa di quel meccanismo, apparentemente senza controllo e senza responsabilità, costituito dalla propalazione distorta di notizie riservate (nel nostro caso da parte delle Forze dell'Ordine) e dal processo sommario che ne segue sulla stampa.

Il processo sommario si è sviluppato e consumato in soli tre giorni, ed ha cambiato per sempre la storia di Alberto e la nostra; Alberto era uscito il giovedì sera di casa per una spensierata serata al cinema, la notte della domenica seguente si è tolto la vita.

Nonostante vi prenda origine, la vicenda di Alberto non ha alcuna attinenza con la droga.

Alberto non apparteneva al mondo della tossicodipendenza, non aveva consuetudini sistematiche con gli stupefacenti, semplicemente si fumava qualche spinello.

Aveva sicuramente un punto di vista liberale sull'argomento, educato com'era stato a detestare qualsiasi ipocrisia, anche di Stato.

La notte di quel giovedì, quando è stato fermato dalle Forze dell'Ordine, Alberto, responsabilmente, di fronte alla contestazione mossagli ha assunto interamente le sue responsabilità, se ne è fatto completamente carico, da persona adulta; avrebbe affrontato il problema da solo, forte della riservatezza che gli era stata assicurata dai Carabinieri (i quali gli hanno esplicitamente suggerito di non avvertire i genitori) e che gli spettava: così si è confidato la mattina seguente col fratello Diego, stabilendo assieme a lui di non informarci, e così aveva riferito ai suoi amici il giorno dopo.

Alberto, per struttura morale, riponeva una fiducia cieca nelle parole date e ricevute. L'esperienza che avrebbe dovuto affrontare sarebbe stata una ulteriore opportunità di crescita, un ulteriore insegnamento dalla vita.

Non gli è stato dato il tempo.

L'azione delle Forze dell'Ordine, sino alla contestazione tecnicamente sanzionatrice e vigilante, non si è fermata al suo compimento, è andata oltre.

Senza attendere il corso giudiziario e venendo meno alle promesse fatte a nostro figlio, i Carabinieri hanno prodotto una conferenza stampa (in cui hanno anche distorto i fatti); sui giornali, a grandi titoli, in prima pagina, nelle locandine, è stato quindi consumato il processo sommario ad Alberto, descrivendolo come Alberto non era e ricorrendo a titoli con le caratteristiche del linciaggio morale (smascherato, insospettabile agronomo, imbottito di droga, giovane di buona famiglia incensurato di Castrocaro).

Il comportamento delle Forze dell'Ordine lo ha, a questo punto, profondamente offeso, la gogna sulla stampa alla quale veniva proditoriamente esposto, irrimediabilmente deluso; la sua sensibilità e la sua correttezza erano state scambiate per ingenuità da chi se n'era servito per una vana dimostrazione e ostentazione di capacità investigativa.

Alberto si toglieva la vita la notte stessa.

Noi abbiamo costruito la nostra famiglia con ottimismo, impegno e sforzo economico per far crescere i nostri 4 figli, farli studiare (due sono ancora liceali) e prepararli ad affrontare responsabilmente la vita guardando con fiducia al futuro e consci di perpetuare la fatica e gli sforzi, nella direzione del progresso, delle generazioni che ci hanno preceduto.

Come la grandissima parte dei suoi coetanei, Alberto era impegnato nel lavoro con dedizione e serietà, per costruire la Società di domani; egli era una risorsa preziosa ed aveva appena iniziato a restituire l'enorme investimento compiuto dai genitori e dallo Stato per farne un cittadino.

Pensavamo di aver messo in guardia i nostri figli dai pericoli del mondo esterno, ma non avevamo incluso tra quelli la possibilità di comportamenti distorti da parte di chi, per funzione e per ruolo, dovrebbe sempre essere una tutela del cittadino.

La trasgressione di una sera non può essere il marchio d'infamia che giornalisti (riteniamo senza figli) possano superficialmente applicare ad un giovane; l'azione tecnica delle Forze dell'Ordine non deve trascendere in intenzioni falsamente"moralistiche": i processi si celebrano in Tribunale, le sanzioni sono comminate da un Giudice.

Codesti comportamenti sono il modo di corrompere la società civile, di scavare un fossato di diffidenza e di inimicizia tra il cittadino e le istituzioni.

Come genitori, siamo molto preoccupati; ci chiediamo cosa dobbiamo temere di più per i nostri figli.

Ma non ci arrendiamo; vogliamo, per Alberto, per gli altri figli, per tutti i loro coetanei, essere ancora propositivi: cercheremo di ottenere giustizia, perchè quanto accaduto non si ripeta mai più.

Abbiamo provveduto ad inoltrare una documentata querela all'autorità giudiziaria, perché riteniamo che i comportamenti dei carabinieri e dei giornalisti intervenuti nella vicenda siano stati illegali e criminosi.

Il giudizio morale, peraltro, è già stato espresso dai nostri concittadini e da persone sino allora sconosciute, che in gran numero e spontaneamente si sono riuniti ed hanno manifestato la propria indignazione e la propria riprovazione, verso Forze dell'Ordine e giornalisti coinvolti, con una fiaccolata nobile e silenziosa (che ha fermato per una sera Castrocaro), e con la sottoscrizione di un manifesto (oltre 700 firme) di indignata condanna.

Abbiamo sentito il dovere, sig. Presidente, di informarla, perché questa vicenda non interessa solo noi, ma porta con sé una profonda delusione collettiva verso un sistema, superficiale, vanesio e malevole, che non esita a sacrificare un giovane per suoi meschini infimi vantaggi.

I genitori di Alberto

Maria Cristina Francesconi e Renzo Mercuriali

Note: