Cospiratori. Non ha dubbi il pm Fiordalisi, che per trovarlo i Ros dei carabinieri hanno dovuto bussare a tutte le procure prima di trovare a Cosenza terreno fertile per il loro teorema. Sovversivi e colpevoli tutti e 13 gli attivisti accusati, a vario titolo, di cospirazione contro la globalizzazione e l'ordinamento economico dello stato prima e durante le giornate genovesi del luglio 2001.
Dopo che la corte d'assise aveva rigettato, a causa dell'insufficiente documentazione, le eccezioni della difesa sull'inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche e ambientali, è iniziata la lunghissima requisitoria tutta incentrata sull'interpretazione di stralci di conversazioni rubate a Genova nel 2001, senza foto, né video, né armi, nè altre prove e che s'avvale di testi del calibro di Mario Mondelli e Antonio Bruno, poliziotti a loro volta indagati a Genova per falsa testimonianza. Avrebbero arricchito di particolari truculenti e non veri i loro racconti dei fatti di Genova per sostenere la drammaticità degli eventi.
I 13, secondo il teorema, volevano bloccare un vertice ma anche costituire un gruppo sovversivo», ha insistito la pubblica accusa nel tentativo di mostrare una serie di «sollecitazioni pubbliche insistenti a far veicolare un messaggio di violenza», a suo dire, compiute dagli imputati colpevoli, in definitiva di essere andati a Genova e di aver dato vita a un cartello, la Rete meridionale del Sud ribelle, temibile coalizione di comitati ambientalisti, sindacati di base e centri sociali che ha svolto alla luce del sole la propria breve esistenza. Quasi otto ore sono servite a Domenico Fiordalisi per giungere a pronunciare le richieste di pena: 6 anni e 3 mesi, più 3 anni di libertà vigilata per Francesco Caruso, Luca Casarini e Francesco Cirillo; 3 anni e 6 mesi, più 2 anni di libertà vigilata, per Lidia Azzarita, Alfonso De Vito, Michele Santagata, Anna Curcio (a sua volta testimone nel processo Diaz, era nella sede di Radio Gap al momento dell'irruzione del blue bloc), Antonino Campennì, Salvatore Stasi e Peppe Fonzino; 2 anni, 6 mesi e 1 anno di libertà vigilata per Vittoria Oliva, Claudio Dionesalvi e Emiliano Cirillo, figlio di Francesco. Mezzo secolo di galera. Uno show intercalato spesso dalle risate dei presenti, zittiti dalla presidente del tribunale che, a sua volta, non riesce a trattenersi quando il pm tuona contro attivisti «drogati e delinquenti». Chi ha assistito alla requisitoria, riferisce di un'udienza scandita ogni mezz'ora dalla promessa, mai mantenuta di Fiordalisi, di giungere a conclusione. Fuori dal Palazzo di Giustizia, nel frattempo, si srotola uno striscione: "Contro le mafie e le corruzioni prescrizioni e assoluzioni. Contro movimenti e lotte sociali: tonfa, teoremi e leggi sociali". E' il comitato Liberi tutti ad aver promosso un presidio e lanciato un corteo nazionale per sabato 2 febbraio al termine della settimana di mobilitazione globale indetta dal social forum mondiale. Per ricostruire il contesto vale la pena segnalare l'arrivo nella città calabrese di Fabio Ciccimarra, che va a comandare la squadra mobile, imputato con altri colleghi eccellenti nel processo sulla notte cilena alla scuola Diaz.
Durante una pausa della requisitoria, esce Luca Casarini e ripete quello che era sembrato chiaro dal 15 novembre 2002, data del blitz notturno che fruttò una ventina di arresti: «E' un'accusa basata sull'assenza totale di prove e su un teorema tutto politico che vuole dare una lettura clandestina di ciò che era pubblico». «Accuse abnormi ma che ci riempiono di orgoglio - dice entrando in aula, Caruso, ora deputato del Prc - perché sono le stesse che rivolgevano a Mazzini e Pertini, ben diverse da quelle di chi viene condannato per mafia, corruzione, tangenti. «Personaggio inquietante questo pm», a detta di numerosi osservatori che ricordano come il suo nome sia legato a quattro inchieste del Csm su di lui e alla clamorosa chiusura, nel '90, dell'inchiesta sull'affondamento del Jolly Rosso, parte del progetto Comerio di traffico di materiali radioattivi su cui indagava anche Ilaria Alpi. Ieri doveva essere la sua giornata ma è stata oscurata dalle disavventure del governo Prodi. Certo il suo nome resterà indissolubilmente legato al tentativo di ribaltare il senso comune di quella che Amnesty international ha definito la più grave violazione del diritto in Occidente dal '45. «Paradossale che la procura cosentina abbia speso i soldi dei contribuenti per occuparsi delle vite parallele di Cirillo e Caruso piuttosto che per gettare un'occhiata nel mondo purulento della speculazione edilizi e della corruzione istituzionale. In mezzo a tanta degenerazione sono i "ribelli" a salvare l'onore di questa città», scrivono Eva Catizone e Franco Piperno, rispettivamente ex sindaco e assessori all'epoca degli arresti.
«Solo fumo, tantissimo fumo, per bloccare la nostra attività politica e intimorire migliaia di persone», fa sapere Francesco Cirillo, uno dei tre imputati per i quali è stata richiesta la pena più alta. «Ancora una volta si sta cercando di riscrivere la storia - commenta Vittorio Agnoletto, all'epoca portavoce del Gsf, ora europarlamentare - i poliziotti responsabili delle violenze vengono promossi e sono impuniti, gli attivisti vengono processati con accuse pesantissime». Sì, è ora di tornare a Cosenza.