Vorrei dire che sono sorpreso e amareggiato dalla notizia apparsa il 23 gennaio circa la "questione Ronconi", ma non mi è possibile. L'Amministrazione Provinciale non mi sorprende col suo comunicato; la decisione in sé non mi amareggia per la sua miopia.
La Giunta lodigiana sostiene che il progetto sull'inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro è portata avanti da una composita rete di realtà, nonché finanziata dalla Regione sulla base di obbiettivi concreti, senza che Regione o Provincia conoscano "le figure operative che dovranno realizzare il progetto". Non riesco a capire se dietro questa ricostruzione ci sia più ingenuità o cinismo. Forse, semplicemente, è la prova che i politici del centrosinistra lodigiano assomigliano sempre più al Veltroni imitato da Crozza, quello che si barcamena "pacatamente" in uno slalom di affermazioni cerchiobottiste.
Spero non sfugga ai lettori più accorti che i progetti relativi a carcere o tossicodipendenze spesso sono seguiti (anche, se non soprattutto) da ex carcerati. E i carcerati, generalmente, non sono suore orsoline, la clausura l'hanno vissuta in base a scelte un po' diverse. I progetti stessi in questo campo tendono al reinserimento sociale di soggetti che si sono macchiati di delitti gravissimi e - giova ripetere - sono seguiti da persone che il carcere l'hanno conosciuto, spesso per crimini ugualmente gravi. Può piacere o no, ma la situazione è questa; voltarsi da un'altra parte con la faccia disgustata non servirà a renderla diversa. Dunque la Provincia non può non sapere che nel pool di associazioni, cooperative eccetera che seguiranno il progetto figurano, se non la Ronconi specificamente, persone come la Ronconi, a meno che la Giunta pensasse che il progetto era finalizzato al reinserimento sociale di Biancaneve e i sette nani.
Diversa, e ben più rispettosa, considerazione meritano le parole della figlia di Graziano Giralucci. Come ho scritto in altre occasioni nessuno può permettersi di misurare il dolore altrui, ma quello di Silvia è sicuramente incolmabile e (forse il termine più corretto) irrisarcibile. Non si tratta dunque di contrapporre chi, tra le vittime, ha un approccio più conciliante verso gli ex terroristi a chi oppone una chiusura totale (come Giovanni Berardi) o pressochè totale (come Silvia Giralucci). E' però opportuno ricordare che pure tra le vittime di quel periodo esiste chi (penso a Manlio Milani o Sabina Rossa) ha un approccio verso gli anni 70 che non prescinde dal contributo degli ex terroristi, posto che questi si propongano con atteggiamenti costruttivi.
Non credo che l'atteggiamento delle vittime vada liquidato come "vendettismo", ma proprio per questo ritengo che su quegli anni sarebbe utile una discussione, senza ambiguità e reticenze, con tutti i soggetti coinvolti. Solo a quel punto si potrebbe parlare di una possibile chiusura degli anni di piombo e pure i parenti delle vittime potrebbero dire di aver ottenuto quella giustizia che è dovuta a loro e all'intero Paese. Con la verità e con l'apporto di tutti, non certo con l'imposizione di quello che (sì, spero mi perdonerà la signora Silvia) io chiamo davvero un "ergastolo bianco". Purtroppo esiste chi quella stagione preferirebbe dirla chiusa piuttosto che interrogarsi sui processi storici e sociali che l'hanno provocata. E qui - è bene precisarlo - non mi riferisco ai parenti delle vittime, ma a quei politici che strumentalmente ne appoggiano le istanze finalizzate al silenzio per gli ex terroristi. Ho la sensazione che quell'auspicio, qualora concretizzato, rischierebbe d'essere esteso tanto ai carnefici quanto alle vittime. Non so se i parenti si rendano conto che il silenzio invocato per i loro carnefici rischia di trasformarsi in un boomerang per la loro stessa, legittima e sacrosanta, sete di verità e giustizia: spero non si accontentino del ruolo di immaginette da tirare fuori negli anniversari per essere poi riposte nei cassetti impolverati della memoria scomoda.
Negare il contributo di Susanna Ronconi in progetti relativi a carcere e tossicodipendenze non è un buon inizio, in questo senso. Da anni Ronconi si è costruita una competenza in questi settori, e l'ha fatto senza secondi fini; nel senso che nessuno la obbligava (negli ultimi tempi in carcere e successivamente, una volta tornata libera) a scegliersi un lavoro di tipo "sociale", dopo aver scontato la propria pena e dopo essersi dissociata dal terrorismo. Privarsi del suo contributo lo trovo non tanto o non solo ingiusto, quanto privo di senso logico nonché privo di coerenza, in quanto (come già detto) i progetti di reinserimento dal carcere vedono sempre coinvolti soggetti con alle spalle esperienze criminali. Ed è l'assenza di logica e di coerenza a riuscire ancora, se non a sorprendermi, ad amareggiarmi.
NOTA: questa lettera è stata inviata a "Il Cittadino" (quotidiano del lodigiano), in seguito all'articolo apparso il 23 gennaio 2008 dal titolo "La provincia scarica l'ex brigatista". La lettera è stata pubblicata dallo stesso quotidiano in data 25 gennaio 2008