«Mio fratello Bruno è stato in carcere per terrorismo. Me ne vergogno tanto ed è l'unico diritto che mi è rimasto. Mio figlio, invece, aveva un sogno. Il sogno di fare il poliziotto. Che non potrà realizzare perché nella sua famiglia c'è una persona, suo zio, mio fratello, condannato per atti di terrorismo. E' vita questa? E' giustizia questa?».
«Mamma che storia!», deve aver pensato il cronista di giudiziaria della Nazione pestando sui tasti del suo computer. Ce lo possiamo immaginare con la cicca che penzola dal labbro mentre gli risuonano in testa le celebri parole di Humphrey Bogart: «E' la stampa bellezza, e tu non puoi farci niente!». Bruno è Bruno Paladini. E' stato un militante dell'autonomia fiorentina degli anni '70, quartiere di S.Croce. Era a Seattle nel '99, a Genova due anni dopo, è stato l'organizzatore del primo Forum sociale europeo del 2002 a Firenze. Tanto basta perché, agli occhi di quel giornale (che previde orde di black bloc a bivaccare in Piazza della Signoria e accanirsi contro il David) sia il nemico pubblico numero 1. Anzi, il numero 2. Perché il primo mostro da prima pagina è sempre lui, Sergio D'Elia, ex di Prima linea, che ha pagato i suoi conti con la giustizia e ha l'ardire di farsi eleggere alla Camera con la Rosa nel Pugno, attivissimo contro la pena di morte. La grande firma del gruppo Monrif collega i due nomi. E attacca D'Elia: «L'Italia è fatta così. Un ex terrorista diventa segretario di presidenza della Camera, e il nipote di un ex terrorista, un ragazzino che non ha mai visto lo zio, non potrà diventare poliziotto, non potrà diventare servitore dello Stato, perché in famiglia c'è quella macchia. Indelebile. Così vanno le cose nell'ex Belpaese, e qualcuno si meraviglia se la gente ne ha piena le tasche».
Roba da inzuppare il giornale con le lacrime. Solo che non è vero nulla. Bruno Paladini non ha mai bazzicato la lotta armata. «La macchia indelebile», spiegano i suoi compagni del movimento antagonista toscano, è la sua imperterrita militanza per il diritto alla casa, contro la guerra globale e le privatizzazioni dei beni comuni, rappresentante toscano nel consiglio del Fsm. Se proprio si vuol cercare una grana con la giustizia, bisogna arrivare ad Imperia, agli inizi degli anni '90. Bruno e altri compagni aprono un circolo Arci, il Bagdad cafè, che il sindaco Scajola, proprio lui, considera abusivo e gli affibbia una multa salata. Fine. Mai un arresto, mai un giorno di prigione, mai inquisito per banda armata. Mai. Altro che rapina in banca per conto della colonna Luca Mantini delle Br come scrive il giudiziarista compiaciuto di contribuire a strappare il «velo di viscido romanticismo» che ammanta gli anni 70, vero incubo dei giornali in questione e di lobby politico-sindacali come An o il Sap.
La storia circolava da un mese in internet, ripresa anche dal sito de La Stampa , con tanto di dettagli morbosi su presunte violenze fisiche e sessuali, ma il giornale fiorentino sceglie un giorno preciso per «l'esecuzione mediatica» mediante occhiello con foto in prima pagina, altre foto in seconda e terza che accompagnano il servizio speciale. E il giorno per sbattere il mostro sui tre tabloid (gli altri due sono Il Giorno e Il Resto del Carlino ) del gruppo è il 17 novembre, il giorno del ritorno a Genova dei movimenti. Bruno, naturalmente, c'era. E c'era anche ieri, nella conferenza stampa, a cui hanno partecipato esponenti del movimento fiorentino, l'avvocato Sauro Poli, Luca Casarini, Vincenzo Miliucci della Confederazione Cobas, Salvatore Cannavò parlamentare di Sinistra critica, Vincenzo Striano e Stefano Kovac dell'Arci.
Gigi Paoli e Gabriele Canè, questi i nomi dei giornalisti, non hanno sentito il bisogno di verificare la fonte e i fatti come qualsiasi stagista impara a fare alle prime armi. E hanno sbattuto un inesistente mostro in prima pagina, mestando nel torbido di una vicenda dolorosissima e privata (Bruno e sua sorella, dopo la morte dei genitori, sono stati dati in affidamento a tutori diversi, 32 anni fa, e non si vedono da allora) e facendo un pessimo servigio perfino all'aspirante poliziotto tenuto in ostaggio con sua madre sulle pagine del quotidiano. Paladini chiederà 25 milioni di indennizzo per il cumulo di «sordide invenzioni per costruire un mostro, per distruggere ogni sfera della mia vita». I soldi che incasserà serviranno al fondo Vittime dei media.