Una traccia, una semplice macchia sulla registrazione radar, alla quale nessuno aveva prestato particolare attenzione. Si tratta di un bersaglio anomalo, il cui movimento rimane impresso per pochi minuti nel radar di Valle Benedetta la notte del 10 aprile 1991, la sera in cui il traghetto passeggeri Moby Prince si infila nella fiancata della petroliera Agip Abruzzo. Nessuno l'aveva notato prima, ai tempi del primo processo; o meglio, più semplicemente, nessuno gli aveva attribuito particolare rilevanza ai fini della ricostruzione della dinamica dei fatti.
Sono scarne le registrazioni radar di quella sera nell'intera zona dell'Alto Tirreno: pare che una specie di «cono d'ombra» oscurasse esattamente il punto della rada livornese dove avviene la tragedia. Forse non è difficile capirne il motivo. Quel piccolo bersaglio catturato dal radar mentre si muove nella zona del porto di Livorno merita maggiore attenzione rispetto al passato. Non si tratta infatti di una nave: procede a una velocità superiore e non compatibile con quella di qualunque scafo sulla superficie del mare. Si tratta certamente di un velivolo. Ma non può essere un aeroplano, data la minore velocità e la tipologia di rotta: per un certo periodo di tempo dopo la collisione quell'oggetto misterioso rimane fermo e invisibile, sovrastando in verticale la zona della rada dove è ancorata la nave cisterna. Può trattarsi dell'elicottero di cui parlano numerosi testimoni come l'avvisatore marittimo, la testimone Bini e il guardiamarina di turno.
Ma non si tratta di un elicottero civile, non è un mezzo di soccorso e - verrà appurato al processo - non appartiene nemmeno alle forze armate italiane: da nessuna base militare italiana è decollato un elicottero con destinazione Livorno la sera del 10 aprile 1991. Eppure si tratta evidentemente di un elicottero militare, equipaggiato per il volo notturno strumentale, in grado di muoversi non solo "da punto a punto" ma anche di agire autonomamente in zona operativa. Per una buona mezz'ora dopo la collisione rimane sulla rada: il radar non ne registra i movimenti anche se questo non esclude eventuali manovre "verticali" in corso; poi, improvvisamente, sul radar appare il movimento repentino di questo bersaglio che si allontana rapidamente dal mare in fiamme e scompare in direzione nord, verso Camp Darby. L'aspetto curioso sta nel fatto che le (poche) registrazioni radar recuperate per il primo processo non riescono a catturare l'arrivo di questo bersaglio: sembra comparire dal nulla, nessuna rotta, nessun segnale di avvicinamento. Eppure si trova lì, sovrastante la rada, quando scoppia l'inferno in mare. Per svolgere quale missione?
Una testimone che sta osservando l'incendio in mare si tranquillizza, appena si accorge della presenza dell'elicottero che opera nella zona della rada avvolta dalle fiamme: sono arrivati i soccorsi, pensa. Non è così. In realtà, quell'elicottero non presterà mai soccorso né all'Agip Abruzzo né alla Moby Prince. Ha un altro obiettivo, altri destinatari. E' scoppiato un incendio nelle acque portuali a poca distanza da navi cisterna e da imbarcazioni militarizzate cariche di materiale bellico di proprietà del governo statunitense. Ci sono altre imbarcazioni coinvolte? Che tipo di intervento svolge il misterioso elicottero prima dell'arrivo dei soccorsi?
Facciamo un passo indietro, precedente il momento della collisione avvenuta alle ore 22.25. Noi sappiamo che almeno mezz'ora prima, attorno alle ore 22, mentre il traghetto Navarma sta ancora ultimando le operazioni di imbarco, qualcosa di strano sta già avvenendo in mezzo al mare, al di là della sagoma della petroliera Agip Abruzzo. Ad accorgersene sono diverse persone: ufficiali dell'Accademia Navale osservano bagliori rossastri di luminosità e dimensioni variabili in mezzo alla rada, oltre la petroliera, seguiti da una nube bianca simile ai vapori prodotti dalle operazioni di spegnimento di un incendio; l'attenzione di un avvocato docente universitario, che sta camminando poco dopo le 22 sul lungomare in prossimità dei Tre Ponti verso Antignano, viene catturata da «strane fiammelle» che sovrastano la sagoma di una grande nave al largo, seguite poi da fiamme «simili a fuochi artificiali». Queste ed altre testimonianze convergono nel menzionare «boati», «scoppi», «esplosioni».
Sappiamo che tanti, troppi bersagli non identificati sono in movimento quella sera sulle acque della rada. E' in corso un'operazione di trasbordo di materiale bellico: ne è testimone - e lo riferisce al processo - il comandante della Guardia di Finanza Cesare Gentile. E il registro del varco pontile di Canale Navicelli riporta che l'ultimo passaggio di chiatte verso la base di Camp Darby avviene il pomeriggio del 10 aprile: poi quel varco rimane chiuso fino al giorno successivo, senza alcun attraversamento da e per il porto. Ne deriva che quella in corso la sera del 10 aprile 1991 a Livorno è un'operazione di movimentazione d'armi con operazioni di carico/scarico offshore, da nave a nave, destinazione finale ignota.
Qualcosa va storto. Perché le operazioni di trasbordo d'armi sono pericolosamente - e inevitabilmente - connesse a quelle di rifornimento carburante offshore per le imbarcazioni senza nome coinvolte nelle operazioni, impossibilitate a rifornirsi presso il porto di Livorno per non essere identificate dalle autorità. Bagliori, boati, fiamme simili a fuochi d'artificio. Il comandante dei Vigili del Fuoco di Livorno, al processo, ricordando gli avvenimenti di quella sera conclude la testimonianza con una considerazione che forse avrebbe meritato maggiore approfondimento: «Eravamo sorpresi del fatto che non ci fosse traccia della bettolina e in un primo momento si pensò che fosse affondata».
Fra le tante domande ancora senza risposta: perché nessuno ha mai disposto un'attenta perlustrazione del fondale dove è avvenuta la collisione, alla ricerca di possibili tracce e reperti?
Imperio Recanatini non è un testimone qualunque: marconista dell'Agip Abruzzo, si trova a bordo della petroliera quella sera e ricorda di aver visto, una ventina di minuti dopo la collisione con il traghetto, «una barchetta avvolta completamente dalle fiamme che ci sfilava di nuovo verso prua... Una bettolina, cinquanta, sessanta, settanta metri». Impossibile da confondere con una nave passeggeri, peraltro lunga il doppio.
Che fine ha fatto quell'imbarcazione osservata dal marconista della petroliera, il suo carico umano e il materiale che era a bordo? Si tratta forse della stessa misteriosa imbarcazione osservata, immobile, accanto alla scena del disastro dai due ormeggiatori che di lì a poco salveranno il mozzo Alessio Bertrand? Che fine hanno fatto le persone che manovravano quella bettolina in fiamme?
Circa mezz'ora dopo la collisione, mentre i mezzi di soccorso stanno sopraggiungendo diretti verso la petroliera incendiata (senza preoccuparsi del traghetto alla deriva), il misterioso elicottero militare abbandona la rada e si dirige a nord, direzione base statunitense di Camp Darby. Il radar dell'aeronautica italiana di Poggio Lecceta cattura e individua questo bersaglio in movimento, diverso da tutti gli altri che in quel momento solcano confusamente le acque della rada livornese, finché il segnale scompare. L'elicottero ha concluso la sua missione, può rientrare alla base.
La richiesta di fornire alcune immagini radar di quella tragica sera per chiudere definitivamente il caso Moby Prince, rivolta tempo fa dal parlamentare toscano Erasmo d'Angelis alle autorità statunitensi, si è risolta con l'incredibile risposta dell'avvocatura militare Usa: «La base di Camp darby non dispone di radar...».
Oltre a sondare il fondale livornese, c'è forse un'altra ricerca che avrebbe potuto - e potrebbe - rivelarsi utile: recuperare il registro dei ricoveri avvenuti presso la Camp Darby Health Clinic nella notte fra il 10 e l'11 aprile 1991. Una richiesta alla base Usa può sempre essere fatta, anche se il rischio è di sentirsi rispondere che, naturalmente, l'ospedale militare di Camp Darby non dispone di alcun registro ricoveri.