«Dobbiamo dare una risposta trasparente a una domanda di verità e giustizia che ci viene da tutto il paese»: così, ieri, l'attuale capo della polizia e direttore generale del dipartimento di pubblica sicurezza, Antonio Manganelli. E poco dopo il presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi ha salutato queste parole commentando: «Qualcuno ha provato a fare apparire la Polizia come qualcosa di esterno allo Stato. Immagini che non ci sono più. Questa è la nostra Polizia, è il nostro Stato».
Tutte parole pronunciate ieri, mentre un fiume di persone si formava a Genova. Per dire che «verità e giustizia» sulla più drammatica sospensione delle libertà costituzionali e dei diritti umani, in occasione del G8 di sei anni fa e contro chi lo contestava, sono il contrario del processo in corso a 25 tra i manifestanti di allora: «capri espiatori», come ha detto Alex Zanotelli, sul piatto più pesante della bilancia giudiziaria mentre sull'altro funzionari e agenti delle forze dell'ordine inquisiti per la «macelleria messicana» della Diaz e per le sevizie di Bolzaneto godranno di prescrizione e indulto.
Manganelli prima e Prodi poi, tuttavia, non parlavano affatto di questa voragine macroscopica nella responsabilità dello Stato. La solenne promessa di «risposta» non parlava d'un impegno finalmente disponibile a chiarire la catena di comando che portò alle scelte di "ordine pubblico" di Genova nel luglio 2001 e che al vertice formale aveva il suo predecessore, Gianni De Gennaro, che l'ha di fatto designato a succedergli.
Manganelli parlava, a distanza d'una settimana, dell'omicidio di Gabriele Sandri. Naturalmente, senza ancora provarsi a chiamarlo tale. Cogliendo l'occasione dell'inaugurazione del nuovo "polo" della Questura di Bologna, intitolato al soprintendente capo Emanuele Petri caduto nel conflitto a fuoco di tre anni e mezzo fa con i neo-brigatisti in cui morì a sua volta Mario Galesi, egli ha detto invece: «L'istituzione che dirigo e io personalmente portiamo tutto il peso della tragedia di Gabriele Sandri, vittima involontaria di una leggerezza imperdonabile».
Di fronte ad un'indagine per omicidio volontario su un componente - che correttamente si difende in proprio - dell'«istituzione», un capo della polizia dovrebbe forse esimersi da giudizi di merito. Un'alternativa, certo, l'avrebbe: raccontare la verità nei particolari, se la sa. La polizia stessa ne ha fornite due o tre, tutte reticenti. Ma ora Manganelli si avventura in un giudizio, che prefigura già la derubricazione del reato: dice di «una leggerezza imperdonabile», certo non compatibile con l'accusa di omicidio volontario di quella «vittima involontaria».
Allora come può un presidente del Consiglio certificare poi queste parole come «l'immagine di una Polizia che risponde al paese ed è trasparente»? Si può capire che i familiari della vittima, nella desolazione che li ha circondati per una settimana e che si è provveduto a nutrire con l'indagine parallela sulla presunta «rissa fra tifosi», con tanto di reperti di prammatica come sassi e coltelli, si dichiarino ora «soddisfatti» per la promessa di «verità» implicata dalle parole di Manganelli. Soprattutto, forse, perché lui ha aggiunto proprio che «quello della pietra in questo momento mi sembra davvero l'ultimo dei problemi», distinguendo finalmente «la morte di Gabriele» che «è stata il frutto di un errore di un poliziotto». Ma il capo del governo è colui cui il capo della polizia risponde: e ben potrebbe pretendere qualcosa di più, perché quello che dovrebbe essere il governo politico della nostra democrazia. Potrebbe e dovrebbe, Prodi, fare tutt'altro che cogliere al volo le scuse di Manganelli per derubricare la "crisi di fiducia nelle istituzioni" come acqua repentinamente passata.
Più stupefacente di tutto, però, è che Prodi non abbia considerato nemmeno per un momento il piccolo problema rappresentato dal calendario: ossia dalla contemporanietà della manifestazione di Genova a queste dichiarazioni. Sembra averla totalmente trascurata, il premier, questa coincidenza con il ritorno in primo piano della ferita delle ferite, quella del G8. Tant'è che se Manganelli non ne aveva fatto cenno, s'è ben guardato dal farlo lui.
E dunque, poiché forse non ci siamo capiti, torniamo a chiedergli: a proposito di prestigio delle istituzioni, di cura della democrazia, di costi della politica, che fine ha fatto il decreto di revisione degli incrementi di retribuzione concessi da Silvio Berlusconi all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, oggi capo di gabinetto del ministro Amato? Lo stesso De Gennaro continua a goderne nella posizione attuale? E il successore Manganelli riceve un trattamento omologato? Attendiamo una risposta. Che sottintende quelle mancate, sul riconoscimento delle responsabilità di vertice nel massacro di diritti del luglio 2001: e sulla responsabilità dello Stato, alla ricerca della vendetta delle sue stesse colpe sulla pelle di 25 capri espiatori.