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Tornare a Genova? E' utile, anzi... «indispensabile», dicono gli scrittori
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 15 novembre 2007
15 novembre 2007

Molti di loro hanno davvero attraversato Genova mescolati ai no global, altri l'hanno vista esplodere alla televisione, l'hanno rincorsa su internet o sulle frequenze delle radio di movimento. Poi, hanno spedito a Genova i protagonisti dei loro romanzi, o comunque hanno lasciato che le strade di Genova facessero irruzione nelle storie che stavano raccontando. Sul margine incerto tra controinchiesta e narrazione, molti scrittori italiani, ma anche cineasti, teatranti, fumettisti, cantautori si sono lasciati contaminare dal movimento dei movimenti. E ora si apprestano a tornarci. O, comunque, ci tornerebbero se non fossero legati a cartelloni fissati da mesi.
All'indomani del luglio 2001, Massimo Carlotto , autore de L'Alligatore e de Il Fuggiasco , cambiò la trama del suo Il maestro di nodi (edizioni e/o, 2002), «non solo per dovere di contemporaneità - ebbe a dire - visto che la trama del romanzo si sviluppa in quel periodo, ma anche perché ritengo necessaria una riflessione sui comportamenti repressivi». Mentre Marco Buratti, alias l'Alligatore, indagava nel mondo Bdsm (l'universo sado maso), il suo socio Max "La Memoria", archivio vivente e reduce dagli anni '70, tornava alla politica proprio grazie alle reti che andarono a contestare il G8. «Cambiai la trama per poter iniziare un discorso su Genova», spiega a Liberazione l'autore: «Perché quei tre giorni furono sospesi i diritti costituzionali, perché fu una situazione sudamericana, era cambiato il rapporto della piazza rispetto agli anni '70. Non più il contenimento dei cortei ma ogni manifestante veniva percepito dalla polizia come un delinquente comune in flagranza di reato». Da allora Carlotto non ha mai smesso di parlarne. Ovvio che per lui tornare a Genova «è importante: è una ferita che non s'è rimarginata, una storia che non ha fatto i conti con sé stessa, c'è una morte impunita, quella di Giuliani, sta trionfando la menzogna».
Con I segni sulla pelle (Marco Tropea Editore, 2003), Stefano Tassinari riprende una notizia che circolò insistentemente in quei giorni. Le radio gracchiavano: "C'è un manifestante a terra, ferito, in una piazza genovese... Anzi, si tratta di due feriti gravi, in condizioni disperate...". Si parlò di una ragazza spagnola uccisa, ne parlarono tutti, ci si aspettava che da un momento all'altro fosse ufficializzata la notizia. Poi il silenzio. Tanto basta per far muovere tra i carrugi e la zona gialla, Caterina Ramat, giovane collaboratrice di una radio bolognese e protagonista del romanzo, sulle tracce di una «assurda quanto scomoda verità: la ragazza sarebbe stata in realtà un'infiltrata dei servizi spagnoli, e la vicenda sarebbe stata messa a tacere per non creare imbarazzi ai Governi interessati».
«Ho pensato che non si poteva raccontare quei giorni solo con il taglio del reportage - spiega Tassinari, scovato a Udine a poche ore dal debutto con "Guernica", recital sulla guerra di Spagna inventato con Carlo Lucarelli - volevo scrivere un romanzo, avevo bisogno di elementi non di puro realismo, ma comunque emblematici dell'intreccio di cose oscure. Quella voce è la prima cosa che ricordo di quando sono arrivato a Genova la notte del 20». Fisicamente non ci saranno Tassinari e Lucarelli che, tra l'altro è autore di una puntata di "Blunotte" su Rai3 , primo programma serio sul G8 in prima serata alla tv pubblica: «E' necessario tornarci - continua Tassinari - inizialmente avevo pensato che non si sarebbero mai dimenticate quelle giornate, dopo le serate ai dibattiti e a vedere filmati. Mi ha colpito, invece, vedere la "scomparsa" di quelle centinaia di migliaia di persone. Oggi è ancora da indagare la prova generale di repressione, l'autonomizzazione preoccupante di settori delle forze dell'ordine. E serve un'indagine seria su "grandezza e limiti" di quel grande movimento, la sua mancanza di strutturazione ha significato anche l'amnesia e, in parte, la sinistra ha perso la carica anti-istituzionale rincorrendo posizioni governiste. Genova era il contrario: rompere la gabbia, è stata una sconfitta politica».
«E' stato un fatto enorme oggettivamente e soggettivamente, perché le immagini forti tutti hanno potuto vederle - ci dice anche Carlo Lucarelli - stavolta sarei venuto perché bisogna affermare che i panni sporchi di chiunque si lavano all'aperto, che non fa bene nessun colpo di spugna, che ci sia un'informazione corretta altrimenti è l'oblio». Non crede, Lucarelli, che quelli furono i giorni della devastazione e del saccheggio. « In termini così netti no. Ci furono problemi grossi però credo che vada studiata bene».
Con la voce registrata di un testimone di Genova a commento sonoro della rievocazione di un omicidio del '49, di un operaio ternano, Ascanio Celestini , nel 2002 mescolò i fatti del luglio precedente a quelli che raccontava nello spettacolo "Fabbrica". «C'era un'attesa enorme, che andava al di là della paura degli scontri - ricorda così quei giorni - perché era stato individuato il problema: la globalizzazione, le multinazionali, veri sistemi totalitari al di sopra dei governi. Evidentemente alcuni poteri hanno voluto produrre lì e allora un atto di forza illegittimo per dire "sappiate che potrebbe accadere ogni volta". Tornare è indispensabile ma dobbiamo anche capire che dopo il 2001 rischia di essere un atto rituale, non è un caso che dopo di allora ci sono state tante manifestazioni oceaniche, anche a destra. Da una parte c'è un bisogno di recuperare lo spazio pubblico, dall'altra esiste la paura per l'autonomia della piazza. Bisogna essere razionalmente disillusi: doveva nascere una commissione sul G8 per entrare terreno delle responsabilità politiche? Beh, la politica quelle responsabilità non se le prende!».