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Siamo testardi, rifiutiamo l'odio e l'idea del nemico
Raffaella Bolini
Fonte: Liberazione, 14 novembre 2007
14 novembre 2007

Ci ostiniamo testardamente a credere che questo possa diventare un paese civile. Per questo, ancora una volta, sabato prossimo saremo a Genova. Era un paese decentemente civile quello in cui molti di noi credevano di vivere fino al 20 luglio del 2001, quando ci avviammo incontro alla mattanza con la serenità di chi possiede il privilegio immenso di fare conflitto sociale in una democrazia. Era innanzitutto cultura civile quella che praticammo nei giorni dopo Genova, quando tutta Italia scese in piazza senza che volasse un sasso perché non volevamo diventare come quelli che avevano ucciso, picchiato, torturato.
Ricostruire civiltà in questo paese è ciò che facciamo continuando a chiedere verità e giustizia, pretendendo che le autorità si assumano le proprie responsabilità per la più grave violazione dei diritti umani in occidente dal dopoguerra.
Difendiamo noi stessi, la memoria di Carlo Giuliani, il bisogno di risarcimento morale di tutte le vittime. E insieme, diamo ancora una volta occasione alle istituzioni e alle forze dell'ordine per recuperare a se stesse dignità. In un paese civile, le istituzioni sarebbero le prime a non voler convivere con macchie scure sulla propria coscienza. Dovrebbe essere evidente l'importanza, in una società non feudale, della credibilità che viene dalla trasparenza. Ma questo, evidentemente, non è un paese civile. E' un paese dove le istituzioni sono abituate a convivere con la mafia, con la corruzione. Siamo il paese delle stragi, dei depistaggi, delle connivenze. Il potere difende se stesso, la sua sopravvivenza, la sua intangibilità. E' normale in Italia che i colpevoli siano promossi.
Noi, con la caparbietà di chi continua a difendere l'Italia democratica nata dalla Resistenza, confidiamo che la magistratura impegnata nei processi di Genova e Cosenza voglia fare il suo lavoro in modo indipendente. Confidiamo che saprà giudicare con equità, guardando ai fatti. E che non si presti neppure per un attimo a utilizzare venticinque ragazzi come pesi sui piatti delle bilance giudiziarie a cui finora è affidato, in assenza di una Commissione di Inchiesta parlamentare che ricostruisca le responsabilità politiche di insieme, il compito di trarre le somme dei fatti di Genova. Venticinque ragazzi, molti dei quali colpevoli di aver osato opporre una qualche forma di resistenza alla terribile paura di morire ammazzati dai caroselli delle autoblindo e dai proiettili sparati ad altezza d'uomo.
In questi giorni, ancora, un proiettile sparato a altezza d'uomo da un essere umano in divisa ha ucciso un ragazzo. Dopo Genova, molti di noi hanno imparato a dare più attenzione a quello che accade nelle strade, nei commissariati, nelle carceri dove troppe volte i diritti umani vengono violati. E' lunga la lista delle persone picchiate, umiliate, e qualche volta uccise.
Siamo stati vicini a genitori, familiari, amici. Abbiamo condiviso il dolore immenso, ancor più grande per essere stati colpiti proprio da coloro che avrebbero il dovere di difenderci. Abbiamo insieme lavorato perché dalle tragedie personali e collettive nascesse una consapevolezza comune, si diffondesse un nuovo senso civico.
La nostra società è piena di paura, di insicurezza, di solitudine. I legami comunitari sono fragili, il prossimo è diventato un potenziale nemico. E la nostra non affatto perfetta umanità invoca la risposta repressiva. Ma la storia del mondo ci dice senza ombra di dubbio che l'aumento di violenza genera solo altra violenza.
In questi anni, nelle molteplici forme che il movimento per un mondo diverso ha assunto, nelle sue diverse identità ed esperienze, tutti abbiamo scelto di rompere questo cerchio perverso. Chi con la nonviolenza, chi con il conflitto sociale radicale e pacifico, chi con la disobbedienza civile abbiamo risposto alla repressione con la partecipazione, alla rabbia con la cultura della responsabilità, alla paura con la solidarietà.
Genova sabato prossimo sarà la casa comune di chi, ancora una volta, insiste a non farsi intrappolare nell'odio e nella logica del nemico. Non difendiamo solo noi stessi, e la nostra storia, ma la possibilità per tutti di una storia che non sia fatta di prevaricazioni, vendette, ingiustizie.
Chiediamo una ennesima volta alle istituzioni di fare qualcosa per dimostrare di volere altrettanto. Di possibilità ne sono state lasciate cadere fin troppe, sui fatti di Genova e non solo. Ma siamo testardi. E non ci arrendiamo.