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In tanti per contaminarci
Italo Di Sabato (responsabile naz. Osservatorio sulla repressione del Prc-Se)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
23 agosto 2007

Su il manifesto dell'8 agosto il prof. Salvatore Palidda poneva delle questioni cruciali da aggiungere all'appello per la mobilitazione del 20 ottobre. Tra queste c'è una considerazione molto condivisibile che riguarda la stretta repressiva e la militarizzazione del territorio in atto in Italia. In questi ultimi anni, molte volte anche nell'assoluto silenzio, la stretta repressiva ha colpito indiscriminatamente tutti i movimenti sociali che sono stati determinanti per la sconfitta elettorale di Berlusconi e le destre. Qualcuno obietterà dicendo che la gestione della piazza da parte delle forze dell'ordine è cambiata. E è vero, dalle repressioni di Napoli e Genova nel 2001, con i pestaggi di piazza, l'uccisione di Carlo Giuliani, le torture alle caserme di Balzaneto e Ranieri, l'irruzione notturna alla scuola Diaz, si è passati a una gestione più soft di cortei e proteste, ma è anche vero che ne è seguita una criminalizzazione preventiva dei movimenti, grazie pure a una campagna mediatica di quei giornali cosiddetti vicini al governo. Quindi poche botte in piazza, ma centinaia di denunce postume. Spesso per piccoli reati come resistenza o blocco stradale, ma quanto basta per neutralizzare decine e decine di attivisti, costringendoli per qualche anno a occuparsi di come risolvere le pendenze giudiziarie. Altre volte con accuse ben più pesanti, dalla devastazione e saccheggio come l'imputazione che pende sugli antifascisti di Milano e Torino, all'associazione sovversiva, alla rapina aggravata e all'estorsione come accaduto ai militanti di Action o ai fedeli di San Precario. Oggi all'incirca 11 mila attivisti sono sottoposti a procedimenti penali. Dai manifestanti di Scanzano, Acerra e le tante altre vertenze territoriali, ai partecipanti ai blocchi dei treni della morte dei Trainstopping, ai lavoratori forestali e Lsu, dai dipendenti dell'Alitalia agli operai di Melfi, Termini Imerese, Terni, Pomigliano e Arese, dai disoccupati napoletani ai militanti che hanno partecipato alle lotte per la chiusura dei i cpt, dalle mobilitazioni antifasciste e per il diritto allo studio agli occupanti di case e centri sociali. Poi c'è la complicata partita giudiziaria relativa ai fatti di Napoli e Genova, con 218 persone sottoposte a procedimento penale nel capoluogo ligure e nel contestato processo di Cosenza. Non bisogna dimenticare casi inquietanti come quello, fra i tanti, di Federico Aldrovandi, fermato per un controllo di polizia e deceduto per le violenze subite o ancora il giro di vite intorno alla repressione che colpisce il tifo organizzato, soprattutto dopo l'approvazione della legge Amato-Melandri. Il 20 ottobre dobbiamo essere in tanti in piazza. Anche per ribadire che le lotte sociali non possono essere criminalizzate e represse, ma al contrario queste rappresentano le forme più dirette di partecipazione e democrazia. Il governo non può trattarle come semplici questioni di ordine pubblico. Ripartiamo con lo spirito che da Genova in poi ci ha fatto incontrare, contaminare e parlare un nuovo linguaggio fatto di bisogni, desideri e protagonismo sociale. Il 20 ottobre saremo in piazza perché vogliamo ancora coltivare il desiderio e la necessità di un altro mondo possibile.