Finalmente. Un barlume di luce appare all'orizzonte. Era ora, dopo un'attesa lunga sessantaquattro anni e qualche giorno. Lo si deve al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Mi riferisco al suo messaggio, che lui ha avuto la cortesia di farmi trasmettere, inviato all'Associazione Nazionale Divisione Acqui, quella formazione dell'esercito italiano che pagò con un fiume di sangue l'essersi opposta in nome del dovere al nazismo e, quindi al fascismo. Ne massacrarono dai 4500 ai 6000 mila dei nostri soldatini, dopo che avevano alzato bandiera bianca. Altri duemila e più erano morti in battaglia, ancora tremila, e sono tutte cifre approssimative, perirono sui piroscafi con bandiera nazi bombardati dagli anglo americani. I primi cittadini della nuova Italia, in un certo senso i primi partigiani, come li definì a suo tempo l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi.
Ha detto Napolitano: <<... al di là delle decisioni giudiziarie che rendono ancor più amaro il ricordo di quei fatti...>>: non poteva, dato il suo ruolo, approfondire maggiormente il tema. Ma io credo, io spero, o mi auguro, che lo spunto per questo rapido, seppur assai incisivo messaggio, gli sia venuto a seguito della lettera aperta di Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri, massacrato a Cefalonia, e mia di qualche giorno fa, e dell'articolo a stesse firme uscito sul Manifesto del 23 settembre, dal titolo "Cefalonia:assassini in libertà". Nella lettera aperta inviata a lui, al presidente del Consiglio Romano Prodi e ai ministri D'Alema, Parisi e Mastella facevamo presente il nostro disappunto, no, usiamo le parole vere, la nostra rabbia, la nostra indignazione, il nostro sdegno per quel che si era profilato e si andava profilando proprio a proposito di giustizia. In Germania la Procura federale di Dortmund aveva chiuso il 3 marzo nel più tombale silenzio, l'inchiesta a carico degli assassini nazisti con la prescrizione non avendo ravvisato gli estremi delle aggravanti. Che invece ci sono: sfido il mondo a provare il contrario. Ci chiedevamo anche, nella convinzione di non parlare col vento, ma ci eravamo sbagliati, come mai la procura militare di Roma non avesse aperto a tempo debito l'inchiesta, cioè molti anni fa, quando fu scoperto l'armadio della vergogna che a guisa di cassaforte occultò sino al 1994 i fascicoli delle stragi commesse dai nazifascisti tra il settembre del 1943 e l'aprile del 1945. Decine e decine di migliaia di morti tra civili indifesi e militari che si erano arresi. Antonino Intelisano, il procuratore militare davanti al quale mi tolgo, e lo dico senza ironia alcuna, il cappello per il suo passato, ma non me lo tolgo più per questo orribile presente, rispose che non si possono processare i morti e che non si possono riprocessare coloro che sono stati già processati. Sacre ovvietà. Intelisano concludeva affermando che avrebbe chiesto gli atti ai suoi colleghi tedeschi e, se del caso, avrebbe esaminato l'eventualità dell'apertura di un'indagine. A rabbia si è assommata rabbia, rispondendo a quelle ovvietà nell'articolo sul Manifesto. Chi scrive, e anche Marcella De Negri, in tempi diversi e in modi diversi, chiedemmo a Intelisano perché non riaprisse l'inchiesta. Uno degli assassini, colui che comandò il plotone di esecuzione davanti alla Casetta Rossa dove il generale Antonio Gandin, comandante della divisione, i suoi ufficiali furono uccisi - il più orribile delitto di tutte le guerre fu detto a Norimberga - ammise la sua responsabilità. L'ammise il 12 dicembre 2001 facendosi intervistare dalla collega tedesca Christiane Kohl, che ebbe insieme a me la cittadinanza onoraria di Stazzema, uno dei luoghi delle stragi nazifasciste. In quell'occasione usò un nome di copertura. L'11 agosto 2004 non ebbe esitazioni e ripeté a Repubblica quel che aveva già detto senza coprire la sua vera identità: Otmar Mühlauser. Anche lui verrà esentato da guai giudiziari dal procuratore di Monaco, Stern, lo stesso che, quasi a giustificazione di quello che definì orrendo delitto, scrisse nella motivazione che i nazisti ritenevano coloro che resistevano "traditori" o "disertori" perché da un giorno all'altro avevano cambiato bandiera. A parte il fatto che dobbiamo tutto questo a Mussolini e ai suoi seguaci di ieri e di oggi, nel rispondere ad Intelisano gli facevamo presente che certamente lui non era obbligato a leggere i giornali, sapeva bene di Mühlauser, come degli altri sei o sette processati e "prescritti" a Dortmund. Lo aveva saputo direttamente proprio dallo stesso procuratore di Dortmund quando venne a Roma nel 2003, ma gli aveva anche scritto in precedenza, per le rogatorie necessarie al fine di interrogare i superstiti della Divisione Acqui. Io stesso ne intervistai uno per L'Unità. Quindi tutto noto, tutto saputo... E, allora? Cosa accadrà? Forse la procura di Roma, punta anche dall'intervento di Napolitano, aprirà finalmente l'inchiesta, ma con il pericolo, questo sì scontato, di trovarsi di fronte a dei morti, anche se, sia detto con macabra ironia, questi nazisti hanno la vita lunga: versare il sangue degli altri probabilmente rinforza il loro. E non si tratta, come spesso si sente dire in giro, di prendersela con vecchietti più al di là che di qua. Si tratta di affermare un principio sacro, ineludibile, primario: quello della giustizia. La necessità che un giudice dica: tu hai ucciso, massacrato, assassinato, meriti la massima condanna, l'ergastolo. Poi nessuno lo sconterà, tranne Erich Priebke, l'unica eccezione. Ma quanto meno il mondo, la storia, la memoria avrà da alimentare il ricordo e lo sdegno per quel che è accaduto. Un'altra osservazione di cui sento di non poter fare a meno. Prendersela solo con Intelisano è assai riduttivo. Responsabilità assai più pesanti le hanno i politici e gli operatori della grande informazione, perché nessuno, tranne il capo dello Stato, è finora intervenuto. E perché Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera, che ci fa pure lo storico, non ha fatto scrivere un rigo? In questo accomuno a Ezio Mauro, direttore di Repubblica, a Roberto Napoletano, direttore del Messaggero, a Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole,24 Ore. Li vedi presenti ai vari festival, a Telese come a Bologna o altrove, a far atto di presenza al fianco del leader di quel giorno. O a scrivere o a far scrivere sulle zanzare in Finlandia o sui dubbi circa il colore degli occhi della berlusconiana Brambilla. Fatelo pure, date spazio, se credete, a queste e altre frescacce, ma non permettetevi di trascurare eventi che questi sì fanno parte della storia d'Italia. Io non so quale catena di complicità occulte ci sia dietro tutto questo. Posso fare tante supposizioni, ma lascio perdere. Ma voglio dare l'esemplificazione di quel che avviene raccontando questo episodio. Quando Marcella De Negri seppe che a Monaco di Baviera si apriva il processo contro uno degli assassini del padre, chiamò un avvocato, si costituì parte civile, partì per la Germania... Tutto questo a sue spese, nessuno le dette una mano, né morale né materiale. Non c'erano con lei le grandi associazioni, come l'Anpi, la sostenne qualcuno dell'Anpi, ma non l'Anpi, né le tante altre che neanche sto a citare i suoi presidenti occupano imperterriti poltrone completamente inutili per la collettività. E dov'era il governo? Il ministro degli Esteri, della Difesa, della Giustizia? E non essendosi mossi loro, come pretendiamo che avessero dovuto muoversi Mieli e compagni? Del resto Cefalonia non è stata "scoperta" per quel che vi è avvenuto, ma perché Ciampi ne ha parlato, perché vi è andato. E per fortuna. Capite il problema? Per la nostra (dis)informazione il fatto in sé non esiste a meno che non venga illustrato o presenziato da una personalità.
Franco Giustolisi
P.S. Dimenticavo Gianni Riotta, direttore del Tg1. Accolse la mia telefonata con un "caro Franco, come stai?". Concluse che avrebbe passato il problema ai suoi. Ne avete visto o sentito qualcosa?
Note:
Messaggio del Presidente Napolitano per il 64° anniversario dell'eccidio di Cefalonia
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato all'Associazione Nazionale Divisione Acqui il seguente messaggio:
"A 64 anni dall'orrendo massacro di Cefalonia esprimo il commosso omaggio dell'intera Nazione e mio personale alle tantissime vittime di una tragica vicenda che resta senza eguali per il suo feroce e criminale epilogo e che nella coscienza pubblica del nostro Paese, della nuova Germania democratica e della comunità europea rappresenta una terrificante disonorevole violazione delle regole del diritto internazionale.
Al di là delle decisioni giudiziarie che rendono ancora più amaro il ricordo di quei fatti, l'infamia dello sterminio dei soldati italiani e l'orrore del comportamento di chi si rese colpevole di quelle esecuzioni impongono a tutti noi di raccogliere nel modo più degno l'eredità di dedizione e sacrificio degli uomini della Divisione Acqui.
Con questi sentimenti sono vicino ai familiari delle vittime e al loro dolore formulando l'invito che in ogni occasione venga espresso il debito della Nazione nei loro confronti: e ciò anche raccogliendo le proposte della Commissione Parlamentare di inchiesta istituita nella scorsa legislatura che invitò il Parlamento a liberalizzare il materiale acquisito su questa e su altre vicende di quel terribile periodo, così da contribuire a una memoria storica libera da contrapposizioni e condizionamenti.
Fu quello il significato della mia presenza a Cefalonia il 25 aprile scorso, nella convinzione che il perpetuarsi del ricordo di quei drammi e dell'omaggio a quanti ne furono vittime abbia un valore più alto di qualsiasi esito processuale".
Roma, 23 settembre 2007