Lo dirò senza fronzoli e senza retorica (ma non per questo con meno rispetto): la lettera di Sabina Rossa sull'istituzione della giornata della memoria sul terrorismo non mi convince per nulla.
Non discuto la buona fede dell'On. Rossa, ed ho molto rispetto per la sua figura e il suo passato, dolorosamente segnati dal terrorismo. Posso giungere a dire che in un Paese normale il suo parere sarebbe sottoscrivibile senza esitazioni; ma il punto è proprio questo: sotto il profilo della costruzione di una memoria condivisa l'Italia è tutto fuorchè un paese "normale".
Non mi dilungo troppo, perché già il 24 gennaio 2007 avevo scritto un articolo (che trovate qui) spiegando i "buchi" nella memoria collettiva italiana, e spiegando le ragioni che, a mio avviso, avrebbero visto nel 12 dicembre una data più adatta allo scopo di ricordare le vittime (TUTTE le vittime) dello stragismo e del terrorismo di ogni matrice.
Diversamente da Sabina Rossa non credo che "Il 9 maggio potrà essere l'occasione di un generale sforzo di approfondimento" e che "... questa giornata potrà rappresentare un vero momento di crescita culturale e politica nel nostro Paese". In altre parole, non penso che l'individuazione della "giornata della memoria" nel 9 maggio rappresenti il primo tassello di un percorso di difesa della memoria collettiva, ma credo rappresenti la pietra tombale su quel percorso, mai veramente nato. Questo perché, come ebbi modo di scrivere il 24 gennaio, in Italia la memoria collettiva, prima che difesa, va costruita.
A proposito delle numerose date che erano ipotizzabili quali "giorno della memoria" l'On. Rossa dice "Il punto non è fare una graduatoria. Semmai fare una somma dei morti, dei feriti e di quanti pagarono inconsapevolmente o consapevolmente il prezzo del terrorismo". E' proprio questo dato di partenza ad inficiare tutto il ragionamento conseguente. La memoria non la si riconsegna alla storia creando un calderone in cui far confluire le vittime. In questo modo non solo non si garantisce ad esse giustizia (non è con l'istituzione di una commemorazione che si può farlo), ma neppure si garantisce dignità: si ottiene solo l'oblio; un oblio magari dorato e rispettoso, ma pur sempre di oblio si tratta.
In altro passaggio della sua lettera Sabina Rossa scrive "... la scelta di dedicare una giornata di riflessione sulla nostra storia recente ... ha un senso se si presenta come volontà istituzionale di capire le ragioni di quel terrorismo". Proprio per questo motivo l'istituzione della giornata della memoria avrebbe un senso se lo Stato avesse GIA' dimostrato quella volontà che fino ad oggi ha invece contrastato, più o meno apertamente.
Vorrei fosse chiara una cosa: la stagione delle stragi italiane, da Portella della Ginestra fino a Via dei Georgofili, è tutta pressochè priva di verità storica e processuale. A volte si è individuata la "bassa manovalanza" di quelle stragi; a volte si è arrivai a risultati anche importanti sul piano giudiziario (penso al 2 agosto 1980 o alla strage di Firenze), ma il livello dei mandanti e degli ispiratori politici non è mai stato neppure scalfito. Direi che la storia della strage di Firenze è paradigmatica di questa situazione, e rimando alla lettura della recente intervista con Giovanna Maggiani Chelli per gli approfondimenti.
Come data simbolo di quella stagione si è scelto un episodio segnato invece da una matrice (quella brigatista) su cui l'azione di condanna, giudiziaria e politica, è giunta invece a compimento: questo mi sembra paradossale. E a poco vale l'obiezione che questa commemorazione è rivolta a tutte le vittime: basta guardare come, sui principali media, è stata data la notizia ed il rilievo che è stato garantito al solo caso Moro.
Purtroppo in Italia, e voglio affermarlo con forza, opporsi al 9 maggio viene strumentalizzato, specie quando l'opposizione viene da chi, come me, non ha mai fatto mistero della propria militanza politica a sinistra. Si trattano quegli interventi come fossero un tentativo di giustificare il "terrorismo rosso", di diminuirne la portata storica, di smorzare lo sdegno per la violenza brigatista. E' ora di chiarire che opporsi alla scelta del 9 maggio non ha nulla a che vedere con quelle motivazioni, ma al contrario si tratta di opporsi ad una sorta di strabismo politico che ha già causato la sostanziale cancellazione, dalla storia del Paese, della stagione dell'eversione nera. A tale proposito, si leggano i dati dell'indagine che nel 2005 Censis, Associazione 2 agosto 1980, Cedost e Landis condussero sugli studenti dell'ultimo triennio delle scuole superiori di Bologna e provincia a proposito del livello di conoscenza circa la strage di Bologna: li trovate nel succitato articolo del 24 gennaio scorso (qui). Non ci sarà da sorprendersi se fra qualche anno il terrorismo sarà ricordato come figlio esclusivo dell'estremismo di sinistra o della successiva (cronologicamente) matrice islamica.
Se devo finire questo scritto con una valutazione politica della scelta del 9 maggio (o per meglio dire delle modalità con cui si è giunti a tale scelta) tramite un'osservazione "in cauda venenum", dirò che si tratta di una scelta figlia ancora una volta della tendenza italiana al consociativismo, al cercare a tutti i costi una soluzione condivisa nella forma più che nella sostanza. Una scelta, cioè, finalizzata più a chiudere una discussione che non ad aprirla in modo trasparente, a costo di intavolare un dibattito franco sulla stagione degli "anni di piombo". Forse perché quella stagione è più comodo dirla chiusa che non interrogarsi sui processi storici e sociali che l'hanno provocata.