Quali informazioni riuscì a raccogliere il Sisde sulla tragedia del Moby Prince, il traghetto entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo la sera del 10 aprile del 1991 provocando la morte di 140 persone?
E' per rispondere a questa domanda che la procura di Livorno, impegnata in una nuova inchiesta sul peggiore disastro della marina mercantile italiana, nei giorni scorsi ha acquisito i fascicoli dei servizi segreti. Il procuratore Antonio Giaconi, però, non ha voluto rivelare il contenuto dei faldoni.
La nuova indagine è scattata nei mesi scorsi dopo che l'avvocato Carlo Palermo, rappresentante dei figli del comandante del Moby Prince Ugo Chessa, ha presentato ai pm una relazione dettagliata sui punti rimasti oscuri e quasi mai presi in considerazione nei due processi che avvennero in seguito alla strage, e che di fatto assolsero tutti gli imputati, attribuendo il disastro alla nebbia che secondo la Capitaneria di Porto e altri testimoni si era addensata nella zona.
Eppure l'unico superstite della Moby Prince, il mozzo napoletano Alessio Bertrand, in un primo momento aveva giurato che le condizioni di visibilità erano ottime. Qualche giorno dopo, lo stesso Bertrand ritrattò la testimonianza e si disse d'accordo con la Capitaneria di Porto. Chi o che cosa gli fece cambiare idea? A Bertrand fu versato un risarcimento di 200 milioni e un vitalizio di 1000 euro al mese. Il Nucleo Anticrimine di Livorno sta indagando sulla provenienza di quel denaro.
I magistrati livornesi hanno già provveduto a interrogare Alessandro Massari, il perito chimico esplosivistico della Criminalpol che analizzando la carcassa del traghetto riscontrò la presenza di vari tipi di esplosivo di uso civile e militare. Massari ipotizzò che ci fosse una bomba nascosta nel locale delle eliche di prua. Ecco perché, tra le tante ipotesi che circolano da anni, spunta la pista del contrabbando di armi: la Moby Prince, insomma, stava trasportando munizioni. Quando speronò o venne speronata dalla Agip Abruzzo venne letteralmente inondata da 100-300 tonnellate di greggio altamente infiammabile, e che difatti prese fuoco carbonizzando i passeggeri. Ma perché ci fu un incendio?
Resta da chiarire infatti il ruolo delle sette navi sottoposte al controllo statunitense che quella sera circolavano nella rada di Livorno. Le navi dovevano effettuare il trasbordo di armi provenienti dal Golfo - l'operazione Desert Storm si sarebbe conclusa di lì a poco - nella base militare americana di Camp Darby, tra Livorno e Pisa. Secondo il comando militare statunitense, in quegli stessi giorni un intero carico di armamenti si volatilizzò. Il Pentagono fece sapere in seguito di non poter aiutare la magistratura italiana poiché la base di Camp Darby non sarebbe in possesso di una strumentazione radar che potesse, la sera del 10 aprile, intercettare la posizione delle navi presenti nella rada di Livorno.
Eppure nella relazione dell'avvocato Palermo c'è un elemento di estremo interesse: le foto satellitari già agli atti nel primo processo di primo grado, dove però fu impossibile ingrandire a sufficienza le immagini. Oggi, è convinto Palermo, le nuove strumentazioni sono in grado invece di ingrandire le foto e stabilire una volta per tutte quante e quali navi ci fossero attorno alla Moby Prince e alla Agip Abruzzo.
I punti oscuri sono numerosi, a partire dal gravissimo ritardo dei soccorsi. Ingiustificabile, visto che il primo May Day fu lanciato nell'etere dal traghetto alle 22.26, ma il primo soccorritore mise piede sulla Moby Prince soltanto alle 3 del mattino.
E' stato stabilito che alcuni passeggeri rimasero in vita fino al mattino successivo, ma poi morirono soffocati o carbonizzati.
Poi: scatoloni, perizie, documenti e relazioni svaniti nel nulla punteggiano i processi sulla Moby Prince. In alcuni casi, le testimonianze vennero manipolate: accadde alla testimonianza depositata alla Procura dal tenente della Guardia di Finanza Carlo Gentile sulla presenza di una nave americana che caricava munizioni, e un video amatoriale grossolanamente tagliato.
Mistero anche sull'esatta posizione dell'Agip Abruzzo: Il capitano della petroliera, Renato Superina, dichiarò poche ore dopo l'incidente che la nave aveva la prua rivolta a sud. Ma a chi si avvicinò per prestare soccorsi, l'Agip Abruzzo si presentò con la prua a nord. Probabilmente la Moby Dick, appena salpata da Livorno e diretta in Sardegna, stava compiendo una manovra per tornare verso il porto. Perché? Secondo altre ipotesi, una terza nave avrebbe costretto Ugo Chessa, poi morto con gli altri 139, a modificare la rotta in maniera così vistosa. Il nostromo Ciro Di Lauro e il tecnico delle manutenzioni Pasquale D'Orsi, si autoaccusarono della manomissione del timone sulla carcassa della Moby Prince, ma vennero assolti per "difetto di punibilità".
Livorno si appresta a commemorare il sedicesimo anniversario della strage. In molti ricordano di aver visto, quella sera, i bagliori della nave in fiamme. L'associazione dei familiari delle vittime spera ancora.