Non fu una rissa ma un'aggressione a freddo quella che causò la morte di Renato Biagetti: sua madre Stefania e suo fratello Dario, gli avvocati, i suoi amici dell'Acrobax sono certi, a questo punto delle indagini preliminari, che gli atti di indagine sono più chiari della manipolazione mediatica che tentò di rubricare il fatto alle voci "rissa tra balordi". Il punto è stato fatto ieri con una lunga conferenza stampa a Palazzo Valentini all'indomani dell'ultima udienza dell'incidente probatorio. Con loro Haidi Giuliani, Massimiliano Smeriglio, segretario romano del Prc; Pina Rozzo e Nando Simeone, vicepresidenti, rispettivamente, della giunta e del consiglio provinciale. Convinti, tutti, che ci sia bisogno di «un cono di luce sul processo» (Smeriglio) che si svolge mentre a Roma la cultura violenta e intollerante fa breccia «nelle aree di disagio e disgregazione» (Simeone).
Perché è in quella cultura che è maturata l'aggressione di stampo fascista. «La violenza è altro da noi - ripete Haidi Giuliani - e viene sempre dalla stessa parte, che vesta abiti civili o una divisa o ostenti gli stessi gagliardetti e le croci celtiche viste perfino nella folla della Cdl che ha sfilato a Roma».
Renato si beccò otto coltellate da due giovanissmi (18 e 17 anni) all'alba del 27 agosto mentre usciva da una dance-hall sulla spiaggia di Focene. Gridavano: «Che ci fate qui?! Tornatevene a Roma!». Le indagini, spiega un'avvocata, Luisa D'Addabbo, sono «a uno snodo delicato». Le perizie sono state effettuate: c'è il sangue di Renato sulla lama, sull'auto, sulla scena del crimine, perfino sui documenti di uno degli indagati per concorso in omicidio volontario. Finora, sono state fornite confessioni parziali, confuse e contraddittorie al punto che il pm ha disposto l'incidente probatorio. Ma il confronto all'americana è andato a vuoto visto che i due si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L'autopsia, continua un altro componente del collegio difensivo, Luca Mancini, «ha riscontrato un'elevata volontà omicida». Due i colpi che hanno raggiunto il cuore in profondità e gli altri avrebbero colpito altri organi se Renato non si fosse protetto col braccio. Perizie e testimonianze vanno tutte in un'unica direzione. E nulla, sul corpo di Renato, fa pensare a una sua attività aggressiva, non c'è nulla neppure sotto le unghie. Elementi, per i difensori di parte civile, «sufficienti a delineare lo svolgersi dei fatti».
Dagli indagati non giunge alcun segno di ripensamento. Prima s'è cercato di occultare le prove, poi è stato messo in atto un maldestro tentativo di espatrio. Sarebbero stati acquistati in contanti due biglietti per i Caraibi proprio all'indomani dell'aggressione. Le loro famiglie, intanto, ostentano un'assoluta indifferenza che sconvolge Stefania, la mamma di Renato. «Pensavo fossero come me», dice emozionata ripensando anche a cosa è successo la settimana scorsa durante la prima udienza alla quale è stata ammessa. Nel cortile del Tribunale dei minori, Stefania e Laura, la ragazza di Renato, hanno assistito al rumoroso comitato d'accoglienza che acclamava gli indagati al loro arrivo. Bene, a rischiare di essere allontanate sono state proprio Stefania e Laura. Quest'ultima stava per essere portata fuori dall'aula con la forza dai cc, senza l'ordine del pm, mentre chiedeva di rilasciare una dichiarazione: la foto del coltello, negli atti, le ha sbloccato la memoria. A preoccupare è la vicinanza tra indagati e investigatori su cui verrà presentata un'interrogazione parlamentare: le indagini sono state svolte dai colleghi del padre di uno degli indagati, maresciallo dei cc. «Conflitto di interessi che appanna la cultura della legalità» (Rozzo). Intanto, gli amici hanno fondato un'associazione (I sogni di Renato) e aperto un blog, raccolgono fondi per le spese processuali con le serate della Roma reggae coalition e coltivano un progetto, "Il silenzio dei colpevoli", per un'etichetta indipendente, la Renoize, il nome che Renato usava nelle dance-hall